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recensione di De Angelis, E., L'Indice 1987, n. 2
Nella nuova collana "Biblioteca dell'Orsa" la casa editrice Einaudi pubblica numerosi testi di Musil. Due terzi di essi (le prime 500 pagine dell'abbondante ed elegante volume) erano già noti al lettore italiano; gli altri (le ultime 250 pagine) vengono tradotti per la prima volta. Una bella e chiara introduzione di Cesare Cases guida per mano il lettore da un testo all'altro; una nota ai testi informa sulle circostanze di composizione e prima pubblicazione.
Sono testi disparati per livello e per atteggiamento dell'autore; e l'averli tutti insieme permette di fare alcune considerazioni sulla storia spirituale di Musil, con l'evidenza che la cronologia comporta. Da una parte infatti sono qui raccolte delle realizzazioni certe, che possono e debbono essere considerate di per sé, nel loro valore e nella loro fisionomia (ciò vale anche per alcuni testi frammentari o incompiuti, i quali non meno certamente si lasciano riconoscere per quel che intendevano essere e per quel che valgono: molto); dall'altra però quegli stessi testi possono essere visti nel loro dinamismo, e allora quel che si offre primariamente alla considerazione è il succedersi delle varie vie imboccate da Musil e poi abbandonate.
Il volume si apre con "I turbamenti del giovane Törless"; prima opera pubblicata dall'autore (nel 1906) e chissà per quanti di noi prima lettura di opere musiliane. Romanzo di mediazione fra simbolismo e naturalismo, il Törless affronta un tema essenziale del primo (la conoscenza di una seconda realtà) per impostarne la soluzione in spirito nietzscheano, accentuando la dimensione produttiva del conoscere e prendendo cautamente, ma chiaramente le distanze dalla dimensione metafisica del simbolismo. Un romanzo importante e valido, che imposta molti problemi, l'attenzione nei confronti dei quali risulterà poi costante in Musil; ma quanto sarà diverso il modo di affrontarli (e anche di impostarli) nell'"Uomo senza qualità!"
Con svolta improvvisa, Musil entra invece appieno in area simbolista pubblicando nel 1911 due novelle ("Il compimento dell'amore" e "La tentazione della silenziosa Veronica") sotto il titolo complessivo di "Incontri" (tale è la traduzione che qui si seguita a preferire di "Vereinigungen*; ma "Unioni" sarebbe più appropriato). Musil si tormentò ne la composizione di queste novelle e i primi abbozzi e stesure sembravano portare in tutt'altra direzione da quello che poi fu il risultato. Ma nel 1910, quando il lavoro era a un punto morto, uscirono "I quaderni di Malte Laurids Brigge" di Rilke e Musil ne venne, più che impressionato, condizionato: soprattutto "Il compimento dell'amore" è una specie di estremizzazione del "Malte". Quella conoscenza di mondi speciali, che nel "Törless" non riusciva, qui riesce (o almeno lo si asserisce); quel dio con cui Malte non riusciva a mettersi in contatto, qui viene addirittura toccato con mano. Sono in verità novelle molto singolari. Non hanno mai avuto successo di pubblico, ma hanno dato luogo a tutta una fioritura di dissertazioni e di pignolissime indagini sulla simbologia bestiale, sull'uso del discorso indiretto, sulla descrizione meteorologica e via dicendo. Non senza ragione: Musil vi profuse tutto quel che riuscì a mettere insieme di arti costruttive, proponendosi di gravare al massimo ogni minimo passo e teorizzando a lungo intorno al lavoro che veniva facendo. Dunque quelle novelle offrono il campo a esercizi accademici potenzialmente inesauribili (devo confessare che anch'io, insieme con i miei allievi, ne ho preparato uno che verrà pubblicato entro l'anno). Più difficile è stabilire che cosa possa trovarvi il lettore che non debba leggerle per dovere o per professione. Ci sono alcune belle pagine che restano nella memoria; ma al di là di quelle non esito a dire che si tratta di due novelle fallite, qua e là perfino un po' ridicole. Musil non tentò più quella via e periodicamente rifletté su tale abbandono, dando risposte sempre diverse negli anni, ma comunque sempre tali da segnare il distacco tra quei tentativi e il successivo lavoro all'"Uomo senza qualità", che divenne anche per lui l'obbligato termine di paragone.
Intanto si veniva sviluppando una linea ancora diversa (e siamo a tre), seguendo la quale Musil scrisse alcune delle sue cose più belle, che possono far pensare a Kafka (di cui fra l'altro nel 1914 Musil recensì le prime pubblicazioni, apparse l'anno precedente): è una specie di fantastico visto nel quotidiano, di contemplazione allucinatoria di particolari comuni e consueti. Alcuni fra i più straordinari di questi testi Musil li scrisse nel 1913, dunque poco dopo "Incontri", li pubblicò su riviste e li raccolse infine in volume nel 1935 sotto il titolo "Pagine postume pubblicate in vita" (insieme a testi notevolmente posteriori, diversi e disuguali). "La carta moschicida" è certamente il più celebre fra questi; ma altri, compresi o no fra quelle "Pagine" (e comunque presenti nel volume einaudiano di cui stiamo parlando) meritano pari attenzione. Questa linea durò infatti più di una decina d'anni; a essa si può attribuire anche quella "Locanda di periferia" che secondo uno dei primi progetti doveva costituire il capitolo iniziale di quel che poi diventò "L'uomo senza qualità"; vi appartengono anche "Gli assetati" e "Storia di antropofagi" (tutti testi pubblicati o scritti negli anni venti). Ma già "L'autunno più nebbioso di Occhigrigi" (la data presunta della cui triplice stesura è il 1908) presenta brevi, penetranti descrizioni particolari in questa prospettiva.
A tale linea Musil arrivò presumibilmente sviluppando tutta una serie di suggestioni, prevalenti fra le quali restarono quelle avute da Peter Altenberg; queste anzi ancora a distanza - nelle due "Lettere di Susanne" del 1925 e in quella di "Musil a una signorina sconosciuta" del 1930 - trovavano lo spazio per accamparsi sostanzialmente da sole. Ma quelle che in Altenberg erano contemplazioni un po' malinconiche e un po' speranzose dei momenti deboli e non maturabili della vita, nel Musil più autonomo diventavano rarefazioni di tragedie.
Il lettore potrà notare che di punto in bianco, a partire dal 1930, data di pubblicazione del primo volume dell'"Uomo senza qualità", la forza creativa di Musil viene meno per qualunque altra produzione pubblica; gli ultimi testi qui raccolti - già alcuni delle "Pagine postume" ma soprattutto i deprecabili "Aforismi" - sono pressoché illeggibili; espressioni di umor nero, essi stanno 1i a testimoniare quale svuotamento abbia significato per l'autore il lavoro al romanzo maggiore e come i tentativi di proseguirlo ne abbiano prosciugato le ultime forze. Molto probabilmente ci sono stati anche problemi di salute: non dimentichiamo che Musil è morto a sessantadue anni ma che nelle fotografie degli ultimi tempi appare molto più vecchio della sua età.
Per rendere giustizia a Musil però occorre aggiungere che gli ultimi testi non andrebbero letti di per sé ma alla luce di quel lavorio tra utopico e progettuale che è consegnato ai diari; fu in questa sede privata (e nell'altra, altrettanto privata, dell'ulteriore lavoro al romanzo) che l'ultimo Musil diede il meglio di sé. E questa sarebbe l'ultima fase ricostruibile: fatta di descrizioni obiettive di particolari quotidiani - distaccate quanto un bollettino meteorologico eppure affaccendate con la lotta fra la vita e la morte, esemplificata nel fiorire e restar soffocato di un cespuglio o nelle disavventure amorose di un gatto; di abbozzi per un'autobiografia che si protende a storia universale; di progettazioni ineseguibili e tanto più grandiose e affascinanti per un confluire e defluire di tutto lo scrivibile in una circolare creazione che comprenda romanzo, aforismi, saggi e autobiografia.
Questa utopia finale può metterci sulla strada per considerare globalmente tutto il volume einaudiano al confronto del grande assente: dell'"Uomo senza qualità". Questo cita la narrazione obiettiva (comincia addirittura con un bollettino meteorologico, secondo un vezzo diffuso nella cultura mitteleuropea), ma per schernirla; cita la storia naturalistica (attraverso le avventure di Rachel e Soliman) ma per abbandonarla; abbozza la costruzione di trattati (di psicologia o di femminismo) ma per non farne nulla; vuole il particolare ultragravato (come in "Incontri") ma per disperderlo, non per ricavarne conseguenze metafisiche; cita il simbolismo, ma all'incontrario, capovolgendone i temi uno per uno. Soprattutto nel primo volume, notoriamente il più ironico, il romanzo sembra riepilogare una serie di tentativi abbandonati: il confronto con la raccolta di cui stiamo parlando può suggerire quanto di autobiografico c'era in ciò. Se la si guarda dal punto di vista del romanzo maggiore, essa ci si presenta dunque come un complesso di frammenti e di percorsi interrotti. Non certo per mancanza di esiti artistici, ma forse perché quegli esiti mancavano della globalità che invece veniva pretesa dalla progettazione utopica. Ed è tale progettazione che a sua volta riduce tutti gli esiti a frammenti. Prendendo Musil sul serio e alla lettera, mi chiedo se non sia qui il nerbo di quanto ha da dirci. Il suo romanzo voleva essere (sono sue parole) "un padroneggiamento spirituale dei problemi del nostro tempo". Con un tratto positivistico, l'autore si diede anche a un montaggio enciclopedico di vari saperi, il che rende datati certi capitoli e certe situazioni. Ma l'utopia finale dice forse di più sull'atteggiamento da assumere nei confronti del mondo e suggerisce forse quella sintesi e quella costruzione sulla cui formulazione romanzesca Musil si tormentò invano: suggerisce cioè un atteggiamento che considera il mondo come circolare compenetrarsi ironico di realizzazioni singole, in lotta le une con le altre e tutte pronte a vanificarsi le une a favore delle altre. Ineseguibile, forse in certe condizioni anche paralizzante. E grandioso.
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