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In Roma e i figli del male Alessandro Maurizi intreccia due temi scottanti In una trama in cui non mancano suspense e azione. Non si tratta di un giallo classico, in cui l’assommarsi degli indizi guida il lettore fino a svelare un più o meno macchinoso mistero; quella che si dipana, al voltare di ogni pagina di questo romanzo, è un’indagine in cui le colpe sono chiare fin dall’inizio. Meno certa è la punizione del colpevole, un vescovo macchiatosi del reato di pedofilia. Personaggio morboso e inquietante, ben reso nell’ipocrisia delle sue convinzioni, nella sua debolezza e nella sua solitudine, ma anche nell’aura di arroganza che gli conferisce il suo ruolo di potere, il vescovo Domenico Casiraghi permette all’autore di cavalcare l’onda di inquietudini e scandali molto attuali, ma anche di arricchire la trama con un’ulteriore e più insolita questione scottante: il ricorso, ancora nel nostro ipertecnologico XXI secolo, a pratiche esorcistiche. Il dibattersi di alcuni suoi personaggi tra fede e superstizione, la descrizione di riti effettuati in segreto, in antri bui aggiungono al romanzo, poliziesco moderno che si svolge tra pedinamenti e intercettazioni ambientali, un’aria cupa e medievale. Il volgersi delle pagine è reso allora frenetico dalla curiosità di conoscere i motivi che hanno spinto alcuni dei personaggi del romanzo ad affidarsi a tali pratiche, svolte peraltro proprio dal controverso protagonista. E Casiraghi in cui, come afferma l’autore stesso tutto è logica, ma niente è verità pare ad un certo punto riuscire ad avere, ed anche facilmente, la meglio sul suo antagonista Manuel Castigliego, non in uno scontro fisico, ma in un dibattito verbale. Le ragioni del vescovo in difesa di sé stesso sembrano avere il potere di ribaltare la morale, fino a rendere accettabili comportamenti inaccettabili, e la possibilità che il colpevole rimanga impunito si fa strada sempre più minacciosa al procedere della storia. Ma il bello di un romanzo è che non è realtà.
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