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Gli anni giovanili sono fondamentali per la formazione di un intellettuale, perché è allora che le personalità incontrate e le esperienze vissute lasciano un’impronta indelebile. Il caso di Robert Venturi non fa eccezione: lo studio di Rosa Sessa ricostruisce, con il supporto di fotografie e fonti inedite, il percorso biografico e culturale di uno dei più significativi architetti del XX secolo, sottolineando l’importanza dei suoi maestri (Jean Labatut, Donald Drew Egbert), di alcune letture fondamentali (Henry-Russell Hitchcock, William Empson, Frank Lloyd Wright), e del dialogo con gli amici studenti (Philip Finkelpearl, William Weaver), ma soprattutto il peso formativo dei viaggi in Europa.
«È il suo contesto che dona a un edificio un significato. E di conseguenza ogni cambiamento del contesto provoca un cambiamento del significato». - Robert Venturi
A Filadelfia Venturi si era discostato dalla tradizione italoamericana ed era diventato un outsider multiculturale anche in questo ambito. Come nota Denise Costanzo nell’introduzione: «L’identità italiana/americana di Venturi ha sfidato gli stereotipi perché era allo stesso tempo intima e distaccata, un esempio appropriatamente “non semplice” (non-straightforward) della sua categoria teorica dell’“e-e” (both-and)». Gli anni universitari, trascorsi sotto l’egida del “Princeton System” e del metodo del close reading, si concludono con un fondamentale primo viaggio a Roma (1948) e con la tesi Context in Architectural Composition (1950). Vengono poi le determinanti esperienze professionali presso Oskar Stonorov, Eero Saarinen e soprattutto Louis Kahn, i felici anni di nuovo a Roma trascorsi presso l’American Academy (1954-1956) e i frequenti viaggi in Italia, Francia, Grecia e Germania, seguendo i suggerimenti del grande storico Richard Krautheimer e di Ernesto Nathan Rogers. Il ritorno negli Usa coincide con la realizzazione dei primi progetti, come la casa per Vanna Venturi, e con la stesura di Complessità e contraddizioni nell’architettura (1966). Il presente volume si chiude con una conversazione con Denise Scott Brown, collega alla Penn University nel 1960, con cui Venturi strinse un indissolubile sodalizio intellettuale, sentimentale e professionale basato anche sul comune amore per la cultura italiana.Indice
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