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Ottima ricostruzione, da un punto di vista precedentemente non considerato, quello degli intellettuali dell'epoca che vissero questo sconvolgimento.
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"C'è stata in Russia una rivoluzione?": questa suspense interrogativa posta da Berdjaev in un articolo pubblicato il 19 novembre 1917 è alla base di La rivoluzione svelata. Nel settantennio sovietico, l'ottobre è stato un mito fondatore, quale prima ipostasi del Regno di Dio del proletariato, e ha avuto una valenza soteriologica. La forza d'attrazione del mito della rivoluzione è consistita nella sua incompiutezza, nella sua ineffabilità di realtà rivoluzionaria che ha cercato di inverarsi transitando verso qualcosa di inaudito. Il mito attrasse anche alcuni esponenti della cultura dell'emigrazione, favorendo quel cambio degli orientamenti sub specie nazional-bolscevismo o eurasismo (restaurazione dell'impero eurasiano a opera dell'ideocrazia sovietica).
Facendo riferimento al retaggio dell'emigrkul't, Strada svela la rivoluzione a se stessa, quale Apocalisse "infrastorica". Il disvelamento dell'ottobre 1917 scaturisce da quella visione polifonica, metastorica e transpolitica, derivante dall'intersezione di diversi circoli ermeneutici (letteratura, filosofia, istoriosofia, semiotica storica), che, a partire da Tradizione e rivoluzione nella letteratura russa (1969), è il tratto distintivo dell'indagine di Strada. La cultura dell'emigrazione ha forgiato una Weltanschauung postrivoluzionaria quale oltrepassamento del trascendibile orizzonte della rivoluzione bolscevica. Tale prospettiva consente a Strada di svelare i paradossi e le antinomie di una rivoluzione che è sfociata nell'autonegazione del comunismo. E il libro si apre con il diario, stilato in carcere ("prima cellula della metastasi del Gulag"), di ingarëv (deputato liberale ucciso nel gennaio del 1918). Ne deriva che la "fatale necessità" della rivoluzione era stata prevista con largo anticipo da Dostoevskij. Un "gigantesco neciaevismo" aveva cioé pervaso la Russia e, secondo ingarëv, gli "indemoniati" bolscevichi imponevano una fede nei grandi principi combinandola con "l'abiezione della violenza" contro "chi la pensa diversamente".
La demonologia della rivoluzione d'ottobre si evince anche da De profundis (1918), che raccoglie i saggi di quei primi dissidenti (Struve, Berdjaev, Frank), costretti, nel 1922, all'emigrazione. Per gli autori di De Profundis la rivoluzione non era un evento fortuito, ma "una reductio ad absurdum sperimentale del nichilismo", un movimento "regressivo" che si atteggiava a rivoluzionario e che imponeva la propria ideosofia come "religione secolare", come spettrale catechismo di una teocrazia rovesciata.
Strada prende in esame anche gli orientamenti emersi nell'emigrazione liberale e in quella menscevica: l'egualitarismo livellatore imposto dai bolscevichi non era di derivazione marxista, ma un succedaneo dei catechismi rivoluzionari di Bakunin e di Nečaev. Dalla controversia sulle fonti e sugli esiti della rivoluzione d'ottobre emerge così che la Santa Russia non fu un katekon in grado di frenare la forza del bolscevismo-Behemoth e la sua estrema rivelazione fu l'Apocalisse rivoluzionaria. Quale storia filosofica della Rivoluzione d'ottobre, il libro di Strada, dunque, non solo "apre nuovi spazi di riflessione", ma svela un "evento epocale estinto" che continua a porre alla Russia postcomunista gli enigmi tormentosi del suo imprevedibile passato. Roberto Valle
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