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Proprio qui, sul terreno che gli è piú congeniale, - la storia morale della Rivoluzione, - Quinet ha scritto le sue pagine migliori.
… Questo acuto senso degli egoismi e delle debolezze che si annidano nelle coscienze degli uomini lo aiuta a intendere vasti fenomeni sociali come il diffondersi del militarismo, dell’ammirazione per la sciabola, negli ultimi anni del Direttorio, o la supina adesione all’Impero dei nuovi possessori di terre. Ma soprattutto, egli coglie stupendamente il processo di disgregazione morale, di stanchezza della generazione rivoluzionaria. «Il est presque impossible que des hommes qui ont cédé à la peur puissent encore servir la liberté». Qui sentiamo che la sua personale esperienza morale e politica gli faceva intendere nel suo significato universale un fenomeno collettivo che si era verificato alla fine del Settecento in Francia, ma che è, o può essere (come la storia successiva avrebbe dimostrato, fino ai suoi e ai nostri giorni) , di tutti i tempi e di tutti i paesi. E veramente in queste bellissime pagine, di una trasparente passione, è un insegnamento perenne. Dalla introduzione di Alessandro Galante Garrone
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