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Dopo un quadro della politica coloniale zarista tra 1865 e 1914, il libro affronta il periodo cruciale tra la grande rivolta dei centroasiatici nel 1916 e la riconquista della regione da parte dell’Armata Rossa all'inizio degli anni '20. L’autore si concentra su tre casi: Tashkent, la capitale coloniale, il principale teatro della politica democratica dopo il febbraio 1917 e del «capovolgimento» neocoloniale della rivoluzione; la piana del Fergana, cuore demografico ed economico dell’Asia Centrale, dove più forte fu il movimento di guerriglia anticoloniale (basmachestvo); il Semirec’e, la regione al confine con la Cina abitata dai nomadi kirghisi e kazachi dove maggiore era stata l’immigrazione di contadini slavi. L’opera apre nuovi scenari alla comprensione di aspetti fondamentali della transizione post-zarista in Asia Centrale: la mobilitazione politica in Turkestan tra le speranze del 1917 e la violenza degli anni successivi, il rapporto tra le dinamiche dei poteri sul territorio e l’avanzare della carestia (diffusasi nello stesso 1917), il conflitto tra pastori nomadi e contadini slavi a partire dalla rivolta del 1916, il basmacestvo in Fergana e il ruolo politico dei «comunisti musulmani». La guerra civile in Turkestan è letta attraverso le logiche della micropolitica del conflitto (tra violenti combattimenti e instabili alleanze) di gruppi di «uomini in armi» in lotta per il controllo delle risorse in assenza di autorità statale, nel contesto di profondissima crisi economica e carestia. Il risultato è un’attenta analisi, basata su pluriennali ricerche in archivi russi e uzbechi, della guerra civile come intreccio di conflitti locali. La ricerca si presta infatti ad essere letta come un esame ravvicinato su scala regionale dell’intera crisi rivoluzionaria panrussa, esame non privo di suggestioni comparative su altri conflitti nei territori «senza stato» di altre zone e periodi del mondo. Che le "nuove guerre" di cui si è parlato negli anni '90 per Africa, Cecenia, ex-Jugoslavia non fossero poi così nuove?
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