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La storia d'amore tra due artisti fondamentali della scuola romana della prima metà del '900. Siciliano riesce a descrivere con intensità le atmosfere più intime di questa famiglia speciale.
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Rosso è sempre stato il colore di Roma, rossa la pietra, rossi i muri dei palazzi (poi il restauro ha fatto riemergere i paglierini e i grigi settecenteschi), purpurei i prelati, i marmi e le entraglie sul piatto, rosso infuocato il cielo dei tramonti, rosse le viscere di porfido delle chiese impudiche spalancate sulla strada, rossa l'anima della città. Così Peter Greenaway nel Ventre dell'architetto vedrà il rosso della camicia e delle interiora cancerose del protagonista, omologhe alle interiora architettoniche calde fumanti dell'Urbe imperiale. Così Ungaretti (evocato da Siciliano in esergo) canterà "tutti i rossi nel rosso" di Roma. E Scipione (Gino Bonichi) dipingerà quel rosso come un coagulo di ferita e sessualità. Scipione, l'autentico protagonista di questo "romanzo dal vero" di Enzo Siciliano, dedicato - come da sottotitolo - a Mario Mafai e sua moglie Antoinette Raphaël, lituana fiammante, artisti della cosiddetta scuola di via Cavour, dove abitarono a lungo al numero 325.
"Il rosso è il colore del sesso (...) ed è il colore metaforico di tutto Mafai". I due dioscuri, Scipione e Mafai, uniti anche da questa predilezione per il colore di Roma barocca. Scipione e Mafai si conoscono nella primavera del '24, racconta Siciliano, e da allora fu un sodalizio potente. Scipione è esuberante, grande, forte, atletico, fisico, sensuale, ma sputa sangue, è tisico, quasi come il negro del Narcissus di Conrad, ma meno funebre e ben più energico, nonostante la morte addosso. Mario Mafai è "stramicione", intrattabile, cinico come i romani ma pieno di coscienza artistica e di tenacia. Il rapporto che nasce tra i due, ci dice Siciliano, è "di vera intensità innamorata".
Ma c'è la donna, Antoinette, che viene dall'Est chassidico e chagalliano, che è vissuta a Londra e che ha una forza incredibile e un talento selvaggio: pianista, pittrice, infine scultrice. L'amore con il romano Mario sarà l'amore di tutta una vita, un matrimonio, tre figlie. E Antoinette è gelosa di Scipione, che la ritrae nelle vesti di una bionda sirena nuda e polposa su una pelle di leopardo circondata di simboli sessuali, una Circe con la coda di pesce che trascina con sé fatalmente gli uomini. Così la vedeva Scipione, come ci narra Siciliano, ed era ricambiato da una gelosia a tratti feroce. Ma il cemento dell'amicizia maschile fra i due non viene facilmente intaccato: "Senza Antoinette, Mario e Gino pieni di curiosità andavano 'per le chiese romane come due amanti' -, lo ha scritto Mario". Ed è sempre Mafai, riportato da Siciliano, a scrivere che Scipione fu "l'unico amico che ho veramente amato". Il narratore-storico azzarda oltre. Ad esempio ipotizza felicemente che i due giovani nudi con il cavallo e la quercia del disegno scipionesco La disputa del 1929 possano essere Mario e Scipione stessi, durante una villeggiatura ciociara che doveva aiutare il secondo a guarire dal male polmonare, colti simbolicamente come due dioscuri giovani selvatici inseparabili, in "un disegno che vede le due figure quasi sovrapporsi o compenetrarsi per una sublimazione che non puoi non pensare erotica".
Il fatto è che i momenti più intimamente ispirati di questa ricostruzione-narrazione sono proprio quelli dedicati al rapporto Scipione-Mafai, fino all'estremo periodo in cui la relazione si allenta malinconicamente (vittoria di Antoinette), mentre la salute del Bonichi peggiora. L'ultimo Scipione accresce, pur nella sua vitalità, il senso di morte, che affida a parole come queste, rivolte all'amico: "Fu il secondo tempo aggravato dal successo a farmi ondeggiare come una fiamma accesa e a bruciarmi come una torcia nella resina dei miei sensi fino a cadere abbattuto. Ora c'è rimasto un focherello che presto finirà". Nel 1933 Scipione si spegne, in giovane età. E il romanzo continua, conducendo Mafai e Raphaël attraverso i loro successi, le loro separazioni, il loro amore torturato, fino alle loro morti.
Ma senza più l'amico primo, l'emozione intensa della narrazione a noi sembra esaurirsi. La corrusca intuizione di Siciliano è tutta nella magnifica storia di un amore-amicizia che si intreccia, complicandolo, all'amore coniugale, con tre protagonisti che vivono ogni cosa violentemente e senza risparmio. Anche il poeta pittore di fiori secchi, demolizioni e fantasie, Mafai, nasconde dietro l'introversione sorniona una malinconia e un male di vivere profondo. Siciliano scrive con una lingua ricca di pastose accensioni un libro che offre documentazioni inedite (pagine di diari, lettere) e prospettive seducenti, raccontando anche e soprattutto una Roma mitica, quella del caffè Aragno e della scuola romana nella sua giovinezza simile a una cocente perduta fiammata. Una Roma che aveva ancora intatto e acceso tutto il suo rosso.
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