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In questa nuova edizione, aggiornata e ampliata rispetto a quella, sempre di Donzelli, del 1997, Lucy Riall ripercorre, in maniera sintetica, ma estremamente efficace, le principali interpretazioni storiografiche del Risorgimento, inteso come periodo compreso tra il 1815 e il 1861. Contestando il carattere teleologico dei due principali canoni interpretativi, quello di matrice crociana e liberale da un lato, quello di matrice gramsciana e marxista dall'altro, entrambi tesi a spiegare l'intero processo di costruzione dello stato nazionale alla luce dello scontro tra progresso e reazione e della successiva deviazione dell'Italia moderna rispetto a un più generale modello democratico-borghese, l'autrice mette in rilievo i notevoli contributi offerti, a partire dagli anni ottanta, dalla storiografia di studiosi quali Paolo Macry, Paul Ginsborg, Alberto Banti, Marco Meriggi, Franco Rizzi e Paolo Pezzino.
Secondo Riall, adottando una prospettiva esplicitamente comparativa, incentrata sulle aree regionali e municipali piuttosto che sulle nazioni, la nuova tendenza storiografica ha avuto il merito di assegnare all'unificazione nazionale un significato diverso: non più momento decisivo di rottura con il passato feudale, ma soluzione parziale, con carattere "accidentato" e per niente scontato, di problemi specifici. Secondo tale prospettiva, un punto di partenza fondamentale è stato rappresentato dalla revisione di quella linea tradizionalmente tesa a concepire il periodo della Restaurazione come una fase segnata in maniera esclusiva da politiche oscurantiste, destinate inesorabilmente al fallimento. Presentando un quadro ben più complesso e articolato, all'interno del quale la consueta contrapposizione frontale tra forze del progresso e forze della reazione tende a sfumare e il successo o l'insuccesso dei governi della prima metà dell'Ottocento sembra essere perlopiù determinato dalla capacità di gestione delle nuove dinamiche sociali ed economiche, Riall nega sia l'equazione tra sviluppo economico e unificazione, sia quella tra movimento liberale e borghesia, sia infine quella tra rivoluzione e classi popolari.
In questo senso, interpretando il mito della "deviazione" italiana come pura invenzione degli storici, influenzati da modelli di spiegazione deterministici dello sviluppo politico ed economico, il compimento dell'unità nazionale non è più visto come l'inevitabile risultato del "risorgimento" liberale o dell'ascesa di una particolare nuova classe sociale, ma come l'esito di processi diversi e talora contraddittori, genericamente identificabili con l'affermazione degli stati moderni. In tale contesto, caratterizzato dalla presenza di tendenze economiche e sociali estremamente eterogenee, variabili a seconda dei singoli contesti geografici e, come tali, difficilmente spiegabili in termini univoci, l'autrice sottolinea, negli ultimi due capitoli, l'importanza decisiva della dimensione culturale e in particolare del nazionalismo, inteso come elemento catalizzatore, in grado di mobilitare un vero e proprio "movimento di massa", orientato a dare una soluzione prettamente politica alla questione della frammentarietà della situazione statuale italiana. Federico Trocini
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