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Un intellettuale che per sua definizione elabora l'"invisibile" e nel farlo combatte contro le rassegnazioni nichiliste, le ideologie novecentesche della barbarie fascista e sovietica, le corruzioni che abbattono l'essere umano dall'interno, le lingue quando sono incapaci di narrare le trasformazioni dell'essere umano, della vita, del mondo, dell'animo. Perché la scrittura ha senso se scava in ciò che non si vede, sterrando le radici profonde delle mentalità, dei corpi, dei sessi, delle false seduzioni e delle confortevoli intimità. È questa la poetica di Julia Kristeva, dove linguistica e psicoanalisi, semiotica e ricerca letteraria tessono un dialogo intertestuale che stilizza il soggetto con la sua storia personale, le mises en abîme della coscienza, le animosità che si traducono in odi e le "rivolte" che si concretano in libertà.
Nata in Bulgaria nel 1941, naturalizzata francese, insegnante all'Università di Parigi VII Denis Diderot, psicoanalista e scrittrice, Kristeva ritorna con insistenza sul tema della rivolta nelle due interviste concesse a Marie-Christine Navarro, che compongono Au risque de la pensée, ora tradotto da Elisabetta Convento. "La rivolta costituisce la nostra intimità psichica, la vita psichica, lo psichismo come vita": si tratta di una ribellione in nome della libertà che non vuole ridurre l'individuo a un dis-adattato della produzione, quando il consumo spacciato per vita non è altro che il pallido simulacro di un'ingannevole sublimazione. Di fronte al rischio di non saper pensare la propria condizione disadattata di individuo omologato dal mercato, Julia Kristeva denuncia l'automatizzazione delle menti: "Nessuno sa più cosa siano il bene e il male, non 'ci' si interroga più, 'ci' si adatta semplicemente alla logica di causa ed effetto". Ed è appunto la povertà di pensiero a spingere il soggetto verso le derive (pericolose e pretenziose) del nichilismo, oppure a rinchiuderlo nelle gabbie dei dogmi dove fondamentalismi religiosi, ideologie politiche, mentalità individualiste, culture narcisiste convivono nella grande krasis del moderno.
Al pensiero, allora, il più grande rischio: quello di pensare! E con ciò di ri-darsi forma, di formarsi, di trasformarsi agendo nella vita attraverso quella libertà della ribellione alle imposture intellettuali, il cui vero scopo consiste nel cancellare l'"esperienza del pensiero" annichilendo l'inquietudine: forma psichica della libertà di sospettare, dissentire, porre in discussione affrontando la "notte del senso" ora con l'analisi, ora con la scrittura, ora con le complessità simboliche delle culture che sanno spezzare il cerchio autoriflessivo di una comoda e insincera identità. È la necessità della "scissione" dall'oggetto materno, da cui dipende l'autonomia formativa del bambino; è l'urgenza di un'"alchimia" della creazione letteraria, quando il linguaggio palesa il coraggio della differenza; è la forza d'urto che spezza le catene nichiliste della "violenza" diretta contro gli altri o contro di sé, su cui sopra-vivono le false culture del razzismo o della droga sorte sorgono dall'angoscia per lo straniero o dall'estraneità l'étrangeté verso se stessi.
L'anima malata dell'individuo moderno è incapace d'intraprendere l'itinerario della "cura", né sa negare il "mal-essere" di una vita disumana. Per questo, Kristeva cita Terenzio: "Niente di ciò che è umano mi è estraneo" e con ciò si pone nel solco della tradizione umanistica e antinichilista. Soltanto il pensiero liberatosi dalle cecità del mondo scopre appunto nell'invisibile quello che è pensabile, radicando l'essere umano nell'unica possibilità per essere o diventare davvero se stesso.
Mario Gennari
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