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Era da tempo che non si osservava la scena culturale americana del Novecento con tanta attenzione. Lo fa Mario Corona con un volume che mostra, ripercorrendo le tappe della biografia umana e intellettuale di Francis Otto Matthiessen, un paesaggio complesso e articolato, contraddittorio e problematico. Che si parta dal 1° aprile del 1950, cioè dalla fine, in un capitolo (Verso la notte) suggestivo e intenso, offre la possibilità di tirare con grande cura i fili di una esperienza quella di Matthiessen e di illustrare la trama di un dibattito critico letterario strettamente intrecciato alla politica.
Si inizia, dunque, dalle note lasciate dall'intellettuale statunitense nella stanza d'albergo, dove lanciandosi nel vuoto aveva preso congedo dal mondo. Quelle indicazioni testamentarie hanno il sapore di un saluto e sanciscono l'approdo tragico di un "viaggio" iniziato durante un soggiorno in Europa nel 1923. Corona narra con finezza la "scoperta" culturale e esistenziale fatta da Matthissien sul suolo inglese leggendo le poesie di Whitman: la sensibilità critica, la scelta degli oggetti, dei temi, l'ambizione stessa del progetto che si ritrovano nelle opere più rappresentative dello studioso ebbero in Europa la loro origine. Intense le lettere che testimoniano quanto quella scoperta di poter "cominciare a fidarsi del corpo", nutrirono e indirizzarono il suo sguardo critico. È il racconto di un'estensione di orizzonte che avrebbe trovato una sua sistematica formalizzazione nella stesura di American Renaissance (1941).
Corona ricostruisce a tutto tondo il dibattito culturale americano e lega gli elementi della riflessione (Matthiessen e la critica del Novecento negli Stati Uniti) che condussero il critico alla definizione di quel progetto. L'attenzione rivolta alle fasi di gestazione (American Renaissance: una invenzione storiografica) e l'approdo a quel titolo definitivo, così poco americano, favoriscono la comprensione del saggio più noto di Matthiessen. Con American Renaissance (in Italia importato da Pavese), l'autore voleva definire un canone per la letteratura statunitense. Ben oltre l'esigenza di definire un "progetto per una nazione" che delineasse le linee di un'identità nazionale attraverso la letteratura, emergeva il desiderio di formulare un'idea democratica per l'arte e quindi per l'intera nazione. Sostenuto da una visione religiosa, spesso riconoscibile nella scrittura di Matthiessen, American Renaissance testimoniava, proprio nella dialettica interna che Corona pone in evidenza a giusta ragione, anche la cifra utopica del progetto. La definizione di un canone e di un'identità statunitense che avessero come punto di partenza la guerra civile, quel parlare dell'amato Melville, del più politico Hawthorne, ponendo i due maestri tra un capitolo dedicato a Emerson e a Thoreau e quell'ultimo a Whitman, alludeva per Matthiessen alla definizione di un'identità, ovvero attribuiva a quel suo ragionare di letteratura la funzione di stella polare perché, in pieno New Deal, fosse possibile perseguire l'ideale democratico per la nazione.
Il suo progetto, sostiene Corona, si sarebbe rivelato storicamente impossibile e la misura di quel fallimento fu l'isolamento vissuto da Matthiessen nel corso degli anni quaranta. Una solitudine non scelta ma subita, che si ritrova nelle parole di una lettera inviata al suo compagno Russell. Una lettera struggente, privata e sofferta, che alludeva, come se fosse sussurrata, all'intollerabile isolamento vissuto dall'intellettuale e dall'individuo Matthiessen. Le sfumature malinconiche ebbero tinte più nitide dopo la perdita proprio del suo compagno un'unione amorosa "corregge il difetto della solitudine" e furono confermate, quasi volesse chiudere il cerchio, da quell'interesse negli ultimi lavori per l'arte di Henry James. Le parole di quella irrisolta attrazione per l'esule Henry James rappresentavano la puntura di spillo sull'utopia del suo progetto, quasi una resa o più semplicemente la presa d'atto di quanto fosse impossibile il progetto di American Renaissance.
Scritto con grande acribia e in modo accattivante, il saggio di Corona orienta gli specialisti e induce in tentazioni anche il lettore comune, perché disegna il rapporto complesso e irrisolto tra gli Stati Uniti e l'idea di democrazia senza avere la presunzione di risolvere le questioni, permette di estendere lo sguardo oltre ogni steccato. Un Rinascimento impossibile è infatti la biografia di un'idea che, tessendo con molta cura i fili di un dibattito storiografico, letterario, culturale, offre anche agli studi di genere uno spazio più ampio evitando claustrofobiche soluzioni. La voce di Corona si distingue avendo saputo narrare una storia americana con un disincanto dalle tonalità proprie della cultura europea. Quella distanza, quella differenza, quella ricchezza di riferimenti illustrano molto bene le contraddittorie vie entro cui si è formata una nazione aiutando a vedere e a comprendere meglio anche l'America di oggi. Un Rinascimento impossibile è un saggio libero perché include la contraddizione e l'insuccesso come possibilità, rappresentando così con efficacia "l'uomo all'aria aperta". Da troppo tempo appunto non entrava aria fresca nell'affollata casa dell'americanistica. Stefano Bronzini
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