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Molto bello ed avvincente. Un romanzo avventuroso, pieno di avvenimenti e colpi di scena, fa riflettere sulla condizioni dei nativi neri, sottomessi e derubati delle preziose risorse del loro Paese dai bianchi usurpatori e sfruttatori. Se poi si pensa che è la storia (anche se in parte romanzata) di una donna realmente vissuta ai primi del Novecento, si apprezza ancor di più la figura di Hanna che si trova sola a lottare con un ambiente ipocrita sia da una parte che dall'altra. Mi è molto piaciuta la figura di "Carlos", forse l'unico che non l'abbia mai tradita Praticamente quasi ogni capitolo (che ho apprezzato per la brevità) ci si trova a vivere nuovi colpi di scena. Il finale non poteva essere diverso, lasciando al lettore la possibilità di interpretarlo come meglio crede.. Leggetelo, ne vale la pena.
un gran bel libro, da leggere tutto in un fiato! Mankell non delude mai, anche se mi sarei aspettato ancora di più.... almeno un grande colpo di scena finale! ma cmq assolutamente da leggere!
Quando dalle ultime pagine , scopri che in parte è una storia vera ,ti accorgi che non poteva essere diversamente Un romanzo pulsante , speciale ,non posso aggiungere altro perchè la qualità si deve assorbire e non incensare
Recensioni
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C’era una volta una ragazza che viveva nel nord della Svezia. Si chiamava Hanna Renström. Viveva con i genitori, la sorella e i fratelli in una casupola fatta di assi che lasciavano passare il gelo dei lunghi inverni. Erano poveri, la terra era avara.
C’era una ragazza, di nome Hanna Renström, che la madre mandò via, in città, facendola salire sulla slitta di un commerciante. Hanna aveva diciassette anni. Per una serie di circostanze Hanna si trovò ad accettare un lavoro insperato: fare la cuoca a bordo di una nave in partenza per l’Australia. Navigavano da solo un mese quando Hanna si innamorò del nostromo Lundmark, un giovane gentile. Si sposarono. Pochi mesi dopo Hanna era vedova.
C’era una ragazza, di nome Hanna Lundmark Renström, che non riusciva più a vivere sulla nave dove vedeva ovunque l’immagine dell’uomo che aveva amato. Scese a terra quando la nave era nel porto di Lourenço Marques, nella colonia portoghese del Mozambico. Prese una stanza in un albergo. Stette molto male. Quando guarì si rese conto che l’albergo era in realtà un bordello, il luogo dove i bianchi compravano sesso con donne nere.
C’era una ragazza che veniva dal Nord, Hanna Lundmark Renström, che finì per accettare la domanda di matrimonio del proprietario dell’albergo, diventò Hanna Vaz, non consumò mai il matrimonio, restò vedova una seconda volta. Ma aveva ereditato l’albergo e avrebbe dovuto gestire lei la squadra di puttane nere. Era il 1904.
Il romanzo Ricordi di un angelo sporco di Henning Mankell è la storia di questa donna. Una storia che parte da una verità - ci dice lo stesso Mankell. Gli archivi di Maputo, un tempo Lourenço Marques, riportano di una svedese che, agli inizi del ‘900, era stata tenutaria di un bordello. Poi la donna era improvvisamente scomparsa. Su questo spunto reale l’immaginazione di un grande scrittore costruisce la vita di un personaggio che non si dimentica.
Perché, in un certo senso, Hanna Vaz Lundmark Renström è la controparte di Kurtz, mitico personaggio conradiano. Addentrandosi nel Congo selvaggio Kurtz si era arricchito enormemente ma si era dannato. Le sue ultime parole, “L’orrore! L’orrore!”, erano di un uomo che si affacciava sull’abisso degli inferi, che vedeva la colpa di cui si era macchiato - trattare gli indigeni come bestie, negando loro la dignità umana.
Il percorso di Hanna, la donna bianca che si trova in un mondo che le è alieno e che non capisce, è l’opposto. E ci domandiamo se Mankell, avendo scelto una donna per dirci quello che vuole dirci dell’Africa, abbia un ulteriore significato, al di là del dato reale. Con la sua sensibilità femminile, Hanna osserva subito come vengono trattate le donne nere che vendono il loro corpo. Come vengono trattati tutti i neri in questa città che si affaccia sull’oceano indiano.
Si dà per scontato che i neri siano inferiori, che siano bugiardi, che vadano puniti alla minima infrazione, o anche solo ad un ritardo nell’obbedire. I neri non devono neppure osare di guardare in faccia un bianco. E bisogna dire che il senhor Vaz è un padrone che ha cura delle puttane nere del suo bordello e non accetta che possano essere maltrattate dai clienti.
Hanna è sconcertata. È dibattuta. C’è un momento in cui vacilla, tra quello che il suo io più profondo le suggerisce e la forza opposta che la attrae, di imitare il comportamento dei bianchi che le stanno attorno. Finché le è chiaro quello che non vuole essere. Da allora la sua è una strada in salita, irta di difficoltà.
Ha il potere dei soldi (tantissimi, più di quelli che avrebbe potuto anche solo sognare). Con i soldi può comprare il funerale per una delle “sue” donne, può sfidare l’opinione pubblica come unica bianca tra i neri a scortare un funerale. Può pensare a garantire un futuro per le puttane ormai troppo vecchie per l’uso. Può dare denaro extra per le loro famiglie. Può assumere un avvocato per la difesa di una donna nera che ha ucciso il marito bianco, padre dei suoi figli. Può entrare a testa alta ogni giorno nella cella dove la donna è imprigionata. Può fare a meno dell’approvazione e del sostegno dei bianchi.
Ormai Hanna - che ha ancora cambiato nome insieme alla sua personalità, Ana Branca (bianca) e poi Ana Negra - è come Carlos, lo scimpanzé addomesticato che ha ereditato insieme al bordello, né animale né uomo, incapace di tornare al mondo da cui viene, un estraneo nel mondo in cui vive. Hanna è un “angelo sporco”, come la chiamava suo padre. Sulle ali ha la polvere di sporcizia del modo in cui si è arricchita, ma è pur sempre un angelo che sta a fianco di chi calpesta quella polvere.
A cura di Wuz.it
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