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In una pagina particolarmente felice del suo Primato morale e civile degli Italiani, il torinese Vincenzo Gioberti auspicava l'avvento di "qualcuno dei nostri grandi intelletti", che fosse finalmente capace di delineare una "Geografia morale d'Italia", intendendo con ciò una geografia e una storia non soltanto delle culture delle diverse "provincie italiche", ma anche e soprattutto delle loro letterature. Ebbene, è stato con l'altro piemontese Carlo Dionisotti (1908-1998) che, un secolo dopo, l'augurio di quel classico a torto dimenticato si è potuto tradurre in un'opera in tutto laica e di alto valore storico e critico, che rappresenta per il Novecento una delle più radicali e argomentate critiche all'idealismo e ai sui residui persistenti magari anche sotto la maschera di modelli teoretici diversi. Proprio per un simile ritardo culturale, una parte della nostra italianistica ha frapposto nel passato ostacoli a che Dionisotti ricevesse uno spazio pari alla sua grandezza nell'ambito dell'università italiana (lo studioso ha a lungo insegnato in Inghilterra).D'altro canto, oggi tanta contemporaneistica e critica letteraria, troppo fidando in artificiose specializzazioni di cattedra o di genere, resiste ancora ampiamente a una piena assimilazione del magistero di Dionisotti: che invita nei fatti a considerare sempre criticamente le categorie del nostro pensare, e la letteratura, tutta la letteratura, come un insieme reso dinamico dal fecondo movimento dell'intertemporalità, in cui diacronia e sincronia, passato e presente dell'urgenza interpretativa si intrecciano e interagiscono di continuo. L'eccellenza di Carlo Dionisotti scaturisce dal vitale modo di ricollegarsi idealmente a uno degli aspetti forti, magistrali, dell'attività di Croce, ossia lo scavo storico ed erudito, ma per attraversarlo.Oltre alla cospicua messe di dati e di sapere, le conquiste teoriche che Dionisotti consegna nelle mani di chi vuol fare oggi letteratura sono infatti l'aver messo in concreta e definitiva evidenza che quanto comunemente e monoliticamente intendiamo per Tradizione è, in realtà, le tradizioni letterarie, strette in una serie di molteplici interconnessioni. La fertilità operativa di simili presupposti si ritrova ora intatta nella raccolta postuma di saggi Ricordi della scuola italiana che Dionisotti stesso, con l'aiuto della figlia Anna Carlotta, ha allestito e consegnato all'editore nel settembre 1997, poco prima di morire.Il volume, che spicca per la ricchezza della documentazione storica, l'acume dell'interpretazione critica e la libertà di giudizio, riunisce scritti "occasionali", ma tali, nel loro nuovo insieme, da delineare una storia della nostra scuola e da costituire un ulteriore, coerente contributo all'originale storia della letteratura italiana tracciata dagli altri studi dionisottiani.Così, da Quadrio a Panizzi, da Taverna ad Ascoli, da D'Ancona a Santorre Debenedetti, da Fortunato Pintor ad Augusto Campana, da Cantimori ad Arnaldo Momigliano, per non dire di tanti altri, una fitta schiera di protagonisti delle nostre lettere viene seguita nella varia articolazione storico-critica delle esperienze e delle opere.Nel consueto stile asciutto e, nello stesso tempo, animato di quello straordinario pathos umano e civile che gli è stato del resto abituale, Dionisotti arricchisce le sue pagine di osservazioni su osservazioni, capaci di suggerire prontamente spunti per ricerche nuove e di stimolare in chi legge illuminanti meditazioni. Nel ricostruire - in Per un taccuino di Pavese - la temperie in cui si collocano gli appunti pavesiani del 1942-43 (a cura di Lorenzo Mondo, "La Stampa", 8 agosto 1990), Dionisotti individua la "fragilità ideologica" dell'autore, e nota che questa è la stessa "fino a oggi, delle generazioni successive". Lo stesso vale nelle pagine in cui Dionisotti rievoca con minuzia le idee e le personalità attive nell'ambiente dove esordì la Romano.In particolare, è notevole il modo in cui egli sottolinea, pur riconoscendone i meriti, la debolezza teorica di Giacomo Debenedetti, identificata in una perigliosa tessitura d'irrazionalismo francese e idealismo italiano, che ne alimentò poi una certa cifra stilistica e interpretativa. È per Dionisotti il fondo di quell'"evasività" che egli imputa sia al Debenedetti posteriore sia a tanta cultura italiana.
recensioni di Marcheschi, D. L'Indice del 1999, n. 03
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