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Il volume Adelphi traduce in modo fedele e accurato un'edizione inglese (Faber and Faber, 2002), nella quale Robert Craft aveva riunito vari ricordi e testimonianze autobiografiche di Stravinskij, originariamente raccolte in forma di intervista in un gruppo di sei pubblicazioni apparse tra il 1958 e il 1972 in Inghilterra e Stati Uniti. Solamente i primi tre di questi sei volumi, genericamente indicati da Craft come Conversazioni, erano stati già tradotti in italiano da Einaudi nel 1977, con il titolo complessivo Colloqui con Stravinsky.
Rispetto alla versione originaria delle Conversazioni, in questa nuova edizione one-volume i testi appaiono rimaneggiati, integrati e presentati in un differente ordine, che segue cronologicamente le tre principali fasi della biografia stravinskijana: Russia: 1882-1913; Svizzera e Francia: 1910-1939; Stati Uniti: 1939-1971. Una sezione (Stravinskij in Albione) riguardante le diverse tappe del compositore nel Regno Unito è stata creata ex novo da Craft.
La figura di Robert Craft è ben nota agli appassionati della musica del Novecento, non solo di Stravinskij. In veste di direttore d'orchestra, Craft fu tra i paladini statunitensi, della musica di Schönberg Berg, Webern e Varèse. Attirando maggiormente l'attenzione di Stravinskij sulla dodecafonia dei viennesi, ebbe un ruolo importante come catalizzatore nell'emergenza dell'ultimo stile del compositore. Senza di lui, forse, non avremmo avuto capolavori come Agon, Threni, Canticum sacrum, o Requiem Canticles. Per oltre vent'anni collaborò come direttore con Stravinskij, e visse in un rapporto strettissimo, quasi filiale, con lui e la moglie Vera. Quando poi Stravinskij morì, nel 1971, Craft venne a trovarsi in possesso di un'importantissima documentazione (inclusi anche numerosi autografi musicali stravinskijani), dalla quale ebbe modo di ricavare numerose e importanti pubblicazioni che lo hanno reso autorità indiscussa nel campo degli studi stravinskijani.
Si potrebbe dire che il contributo di Craft alla stesura delle Conversazioni abbia riguardato esclusivamente la lingua e lo stile, peraltro estremamente raffinato e caratterizzato da un particolare gusto per la citazione, i dettagli minuziosi, le libere associazioni di idee. Quanto alla sostanza possiamo invece concordare sul fatto che "i libri delle Conversations (…) sono i soli testi pubblicati attribuiti a Stravinskij effettivamente 'suoi' nel senso della fedeltà alla sostanza dei suoi pensieri" (Prefazione). Tuttavia, è necessaria una riflessione: la forma dell'intervista, con il suo carattere di registrazione "oggettiva", ha sollevato Craft dall'onere di un'interpretazione complessiva dei ricordi e dei giudizi stravinskijani, anche alla luce di considerazioni di ordine culturale e psicologico. Valutazioni che avrebbero consentito cioè di mettere a fuoco l'immagine, in parte costruita, che il compositore ha voluto lasciare di sé attraverso questi scritti, e di motivare in tal modo anche i diversi punti in cui il racconto è fallace, inesatto, incompleto, e in qualche caso persino mendace. Occorre infatti considerare quella che forse è la finalità più nascosta, ma anche più importante, delle Conversazioni, con le quali Stravinskij intendeva soprattutto presentarsi nel nuovo panorama culturale musicale postbellico in veste di compositore internazionale, non legato a una particolare tradizione musicale, e al passo con le più avanzate e complesse tecniche compositive dei suoi giorni.
Si trattava in fondo di una nuova edizione, a fine anni cinquanta, di un'operazione già effettuata da Stravinskij in Francia a partire dalla metà degli anni venti, quando aveva iniziato a crearsi un'immagine di artista cosmopolita che doveva poco o nulla alle proprie origini "provinciali". La principale novità era ora la rivalutazione di Schönberg e dei suoi allievi Berg e Webern, nonché dell'intera tradizione musicale austro-tesdesca, dapprima sempre tenuta abbastanza a distanza. Questo "riallineamento" induceva peraltro Stravinskij a un atteggiamento ancora più ambivalente nei confronti delle proprie origini culturali russe. Se da un lato, infatti, i Ricordi sembrano a volte idealizzare tali radici, collocandole quasi entro un'aura leggendaria, dall'altro essi tendono spesso a relegare i compositori russi maggiormente connotati in senso "nazionalistico" (in particolare il gruppo dei Cinque) entro una sfera provinciale e "folcloristica", perché lontana da quella linea, sostanzialmente austro-tedesca, che agli occhi del compositore costituiva ormai l'asse portante della tradizione musicale europea. L'influente destinatario implicito di questi scritti era in fin dei conti l'establishment avanguardista degli anni cinquanta, per il quale quella linea centrale di tradizione aveva costituito la premessa storico-musicale essenziale per la composizione seriale.
Massimiliano Locanto
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