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Spingono e sgomitano fra masse di altri libri che gli stanno davanti a tagliargli la strada, alzano la mano, cercano riconoscimento sicuri di poter offrire bellezza a chi li incontra, vengono volontari alla lavagna. Certi libri arrivano a proporsi così, lungo un cammino di strane tortuosità che in fondo riflette la loro storia di dentro. E cosa c'è di più splendidamente urgente di un "ritratto dell'artista da stupido"? La biografia di uno stralunato intellettuale di provincia che dispensa frottole come fossero filosofia strepitosa, uno che sbaglia perennemente citazioni, le rovescia, le traveste, le imbriglia in altre, e tuttavia arriva come un'onda riuscita e simpatica nel destino del lettore che lo incontra. Come dire: missione incompiuta, e perfetta. Non meno bislacche le testimonianze sull'esimio Torres, il folle protagonista di cui parliamo. Gli interpellati cosa fanno? Evadono su discorsi senza nesso, se ne vanno per strade che nessuno gli ha chiesto, parlano di sé. Insomma, un crogiuolo di pagine svitate che solo la coscienza di un'opera d'invenzione può trasformare in dono compiuto, risolto. Quando leggiamo: "L'intelligenza commette delle stupidaggini che solo la stupidità può correggere" non resta che arrendersi in un rassegnato amore senza minime questioni. Se poi ci aggiungiamo un calibro come: "L'uomo non si accontenta di essere l'animale più stupido del Creato; per di più si permette il lusso di essere l'unico ridicolo", possiamo capire con facilità immediata che a parlare è una grande intelligenza, una mente che si sta divertendo a mostrarci il buio, la nefandezza, l'idiozia dell'essere, ma con finezza e doti più che degne, magnifiche. Non si può aggiungere altro, del resto: "Il pubblico è sempre inferiore allo spettacolo", frase che, tradotta, è:"Ogni recensione è inferiore al libro letto".Eccovi svelata dunque la mia eterna stupidità attraverso la meravigliosa stupidità di questo testo.
Recensioni
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scheda di Martinetto, V., L'Indice 1992, n. 9
Raccomandato dalla curatrice Barbara Bertoni al "buon lettore" ovvero a colui che sia in grado di coglierne la provocante intertestualità e sappia stare al gioco intellettuale, ci si potrebbe attendere da "Il resto è silenzio" un cerebrale e forse stucchevole divertissement per pochi eletti. In realtà, se si vuole davvero far giustizia a questo delizioso libro di Augusto Monterroso (il secondo dell'autore guatemalteco, che la Sellerio fiduciosamente pubblica dopo "La pecora nera e altre favole", 1990 ), è necessario dire, innanzitutto, che si tratta di uno di quei rari libri che si incominciano a sfogliare per curiosità e poi non si abbandonano fino all'ultima pagina. Detto ciò, non si può certo negare che questo romanzo sia giocato su un intreccio di citazioni e allusioni colte, che ora si rivelano grossolani spropositi, ora danno luogo a geniali aforismi, da cui risulta un eterogeneo amalgama di idee acute e di luoghi comuni, di stupidaggini e di temi elevati. Il fine è quello di costruire una satira burlesca di certa imbecillità intellettuale, incarnata dal protagonista Eduardo Torres. Esemplare erudito di provincia, trombone retorico infarcito di letture raffazzonate e di una notevole dose di presunzione, l'esimio Dottore emerge a tuttotondo dalle frammentarie testimonianze di amici e parenti, nonché da un'antologia "scelta" della sua opera. Inutile dire che i ritratti sono squisiti racconti brevi, che i trabocchetti letterari divertono, che spesso e volentieri emanano insospettate riflessioni da una scempiaggine qualsiasi e che, naturalmente, altrettante ne stimola la metafora complessiva di questo curioso romanzo, dove relatività, menzogna e dubbio diventano criteri interpretativi della realtà e del sapere.
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