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Anno edizione: 2014
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Questo romanzo di Tabucchi è un viaggio onirico ed allucinato in cui perdersi. Un valzer di personaggi, ricordi, sapori e profumi dove si respira un autentico amore per il Portogallo.
Tabucchi in questo breve romanzo riesce ad immergere in un'atmosfera sospesa, intangibile ma molto forte ed incisiva. Ho letto cose di Tabucchi che non mi hanno entusiasmato, ma quando ho incontrato il testo giusto, come in questo caso, allora ho visto la straordinaria capacità di questo narratore. Ottimo.
Dire con facile vanteria che il voto è alto perché più di una volta ho incontrato Tabucchi, ho conversato e ho sorriso con lui nel rimando al nostro caro Pessoa e alle sue identità mescolate sarebbe diminuire, nel particolare, il valore di questo volume, che considero il suo più completo, il libro nel quale sogno e poesia, dandosi la mano, trascinano la lettura nel necessario incanto della più degna letteratura. Dispiace aver perso un uomo le cui dolcezze e le cui rabbie erano gentilezza e grazia donata.
Recensioni
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recensione di Serani, U., L'Indice 1992, n. 7
(recensione pubblicata per l'edizione del 1992)
Una Lisbona rarefatta fa da palcoscenico a "Requiem" di Antonio Tabucchi, un'allucinazione, come la definisce l'autore, divisa in nove capitoli, come nove sono le parti del Requiem musicale. La capitale semideserta di una domenica di fine luglio è abitata quasi esclusivamente dagli "ospiti" della città. È ospite il protagonista, un italiano (verrebbe voglia di descriverlo con baffi, occhialini tondi di metallo e una incipiente calvizie), come sono ospiti molti dei personaggi che nella sua allucinazione egli incontra. Ma la città è sempre lì con le sue strade, i suoi vicoli e le sue figure ormai diventati stereotipi. C'è il vecchio che vende i biglietti della Lotteria, quelle strane lotterie portoghesi di cui si compra il biglietto diviso in quote tanto sono costosi. C'è il ragazzo drogato in una città ormai integralmente europea anche in molti difetti.
Ma ci sono, soprattutto, i caratteri propri della capitale portoghese. Le strade in salita che vanno dal molo sul fiume allo Chiado, i mercatini organizzati un po' ovunque, anche all'ingresso del cimitero 'dos Prazeres'. E ci sono i ristoranti e i bar. Tutta la storia ruota intorno a tavoli davanti a bevande e cibi. Piatti tipicamente portoghesi a base di pesce o carni povere, come il maiale l'agnello, non certo il vitello dei pascoli del nord Europa o delle pampas argentine. E i vini non sono i rinomati bordeaux francesi, ma gustosi vini bianchi di Reguengos o i Porto d'annata, quelli che, stranamente, per primi gli inglesi hanno saputo apprezzare.
Un'ambientazione tipicamente portoghese per questo singolare romanzo, anche se sarebbe meglio definirlo un lungo racconto, scritto in portoghese, la sua lingua d'adozione, dal divulgatore italiano di Fernando Pessoa, pubblicato in Portogallo per i tipi della Quetzal e quindi apparso in traduzione italiana da Feltrinelli.
"Requiem" è una dichiarazione d'amore per una terra che per Tabucchi non è solo letteratura. Ecco, in questa chiave probabilmente dovremmo leggere "Requiem". In ogni rigo c'è l'attenzione a descrivere un Portogallo diverso da quello delle guide turistiche, con forse l'unica eccezione nel riferimento alla "Brasileira", il caffè dello Chiado, la piazza dedicata al più popolare degli autori teatrali del Cinquecento, giusto dirimpetto a quella dedicata a Lu¡s de Camoes, il più aulico dei poeti portoghesi dello stesso secolo. Ma la "Brasileira" è anche il luogo conviviale per eccellenza degli scrittori portoghesi della prima metà del Novecento, tra cui ovviamente, Fernando Pessoa, eccetto questa digressione "turistica" tutti gli altri luoghi del racconto sono luoghi schiettamente lisbonensi, e non a caso quasi sempre si mangia. Proprio l'alimentazione è infatti una delle caratteristiche di Lisbona; non piatti raffinati, ma poveri. Passeggiare per Lisbona vuol dire imbattersi in 'cevejarias', letteralmente birrerie, dove si mangiano frutti di mare e uova sode a qualunque ora, bar dove si beve birra, caffè lungo e 'sumol', una bibita alla frutta, e incontrare uomini della lotteria, taxi verde e nero e singolarmente assenti in "Requiem", mendicanti In questa ambientazione descritta con l'occhio attento dello straniero profondo conoscitore del paese, ma pur sempre straniero, ha luogo l'allucinazione.
Tutto nasce all'ombra di un gelso nella campagna di Azeitao, ma il protagonista si ritrova (allucinazione sogno, realtà?) nel caldo mezzogiorno lisbonense di fine luglio ad attendere un misterioso, ma non troppo, convitato. Nell'attesa di quell'appuntamento (per un malinteso il protagonista credeva che l'incontro fosse fissato per il mezzogiorno e non per la mezzanotte), con dodici ore libere davanti, egli vaga per la città in cerca di risposte a domande che, lo sapremo poi, lo tormentano da anni. Domande a cui solo i morti possono dare risposta. Inizia così il cammino alla ricerca di un incontro con il suo passato, intervallato da occasionali colloqui con gli abitanti di una capitale semideserta, come la zingara che vende magliette, o il copista di particolari di "Le tentazioni di Sant'Antonio" di Bosch.
Interpuntati da questi personaggi minori, entrano in scena i fantasmi del suo passato. Il primo è Tadeus, un polacco ospite anch'egli di Lisbona, dove giacciono le sue spoglie: con Tadeus discorre di cucina, mangia all'osteria di Casimiro e chiede spiegazioni di un ultimo enigmatico suo messaggio prima di morire; è quindi il momento del padre, ospite anch'egli di Lisbona in una calda domenica di fine luglio del 1932, con cui parla delle malattie e della morte; il terzo fantasma evocato è una casa, una vecchia casa sotto il faro del Guincho, una baia nei pressi di Lisbona, ormai in disfacimento, morta anch'essa, ma anticamente abitata dal protagonista; è poi il turno di Isabel, la donna morta suicida, combattuta dall'amore dei due amici, il protagonista e Tadeus; e infine lui, il convitato, il "tizio" nato a Durban e morto a Lisbona tanti anni fa, che si diverte a parlare in inglese per urtare il cameriere dell'ennesimo ristorante di questa allucinazione. Incontri che apparentemente lasciano immutati i tormenti del protagonista, ma che nella realtà allucinata del racconto servono per chiudere definitivamente con il passato: "Addio e buonanotte a tutti, ripetei. Reclinai il capo all'indietro e mi misi a guardare la luna". Il requiem in loro onore è terminato.
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