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«Gli appunti di un sorvegliante» da un campo per criminali, montati su due piani: l'esperienza tra i reclusi e la finzione degli sforzi per farseli pubblicare nell'esilio americano. «In generale vi si professa una sola banale idea: che il mondo è assurdo».
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Sicuramente uno dei libri più belli di Dovlatov, ci racconta uno spaccato della sua vita in Russia, un'esperienza che ti segna per tutta la vita. Sarà pur vero che é meglio sopravvivere che vivere??
Ingredienti: un binomio di ricordi (di un sorvegliante nell'Urss) e lettere (di uno scrittore emigrato negli Usa), detenuti in un campo di prigionia abituati a sopravvivere su ogni palcoscenico, guardie carcerarie più balorde e insoddisfatte delle loro stesse vittime, un'umanità divisa dal caso in ruoli contrapposti ma accomunata da vizi, bisogni e lati oscuri. Consigliato: a chi vuol scoprire una letteratura russa fuori dagli schemi classici, a chi vuol osservare un mondo buio e senza etica con gli occhi illuminati da un umorismo amaro.
Uno sguardo verso l'altra parte della barricata, ovvero sui con-fratelli di prigionia: i guardiani o sorveglianti o secondini. Che sono uomini anche loro, probabilmente altrettanto infelici di quelli rinchiusi da un filo spinato. Dovlatov ce li presenta con ironica malinconia e non condanna nessuno: siamo tutti brava gente, ma capacissimi di diventare delle carogne all'occorrenza... Non solo se si tratta di salvare la pelle, ma anche per motivi piu' futili, come la precedenza per un parcheggio. Triste ma realistica 'morale', che per fortuna lascia fuori i santi (ma loro hanno dovuto combattere SOLO col diavolo!).
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