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Nella storia medievale del territorio veneto gli anni successivi alla conclusione del dominio di Ezzelino III da Romano (1259-1260) costituiscono un periodo cruciale, nel quale si assestano in modo definitivo i nuclei urbani di Verona, Vicenza, Padova e Treviso, le quattro grandi città della pianura che da sempre costituiscono la spina dorsale mediana della regione. Vicenza, in particolare, conosce negli anni Sessanta del Duecento la stagione, breve ma importantissima, della piena affermazione come Comune politicamente autonomo, guidato dietro le quinte, con discrezione, sapienza e abilità, dal grande intuito politico e dalla sorprendente consapevolezza ‘laica’ degli interessi della comunità del vescovo Bartolomeo da Breganze.
Di questi anni ci sono rimasti due testi fondamentali: lo statuto del 1264 e questo Regestum possessionum comunis Vincencie del 1262, sorta di accurato catasto del patrimonio comunale. Si tratta di un manoscritto sinora solo parzialmente noto agli studiosi, che viene per la prima volta pubblicato
Scorrendo queste pagine, si dispiega un’affascinante “fotografia”, urbana e territoriale, di Vicenza e dintorni, colti nel momento decisivo in cui la città cresce organizzando i suoi spazi, mentre tre fra i centri maggiori del suo di stretto – Marostica, Bassano e Lonigo –, ancora immersi in una dimensione agraria, appaiono già ricchi di vitalità sociale ed economica. E, su tutto, il Veneto rurale nella sua essenza più profonda: l’ambiente collinare di Breganze e Piovono, le montagne di Enego e Rotzo, la stretta vallata del Brenta. Uno straordinario paesaggio, che proprio negli anni del Regestum comincia ad assumere l’aspetto armonioso che lo ha reso così celebre nel mondo da meritargli la qualifica di patrimonio del l’umanità Unesco.
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