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La lunga citazione di Benjamin Constant che l'autore ha posto in esergo a questo studio parrà un richiamo necessario al lettore che avrà percorso con attenzione il volume. La libertà dei moderni non è infatti una libertà unicamente privata, ma comprende una dimensione attiva di controllo e di sorveglianza dell'operato dei governi. E questa idea riassume la tesi di fondo del saggio: il referendum non è cioè un residuo antico, sopravvissuto un po' incongruamente nei regimi rappresentativi, bensì il prodotto maturo di una società libera e articolata. L'analisi di Uleri è comunque condotta in due tempi. Una prima parte sistematica che mette a fuoco una tipologia del fenomeno referendario nelle sue varie determinazioni (rapporto governanti/governati; tipo di iniziativa: popolare o governativa; tipo di consultazione: abrogativa, confermativa, propositiva). Una seconda parte storico-espositiva che passa in rassegna i modi con i quali i referendum si sono caratterizzati nelle democrazie moderne. E che riguardano soprattutto tre paesi: la Francia, dove si è avuta un'istituzionalizzazione debole; la Svizzera, che ne ha conosciuta una forte; gli Stati Uniti, dove l'istituto si è radicato soprattutto in ambito statale. Giustamente severo verso la tesi che vede il referendum come l'anticamera di un inevitabile "inferno plebiscitario", Uleri dimostra in modo persuasivo che il referendum, lungi dal prefigurare un'inesistente democrazia diretta è, nell'esperienza rilevabile, "la prosecuzione della competizione politica con mezzi aggiuntivi a quelli delle elezioni". Ricco di riferimenti empirici e di richiami alla letteratura politologica, lo studio di Uleri si fa apprezzare perché non si limita a un contributo specialistico, ma fa della sua analisi particolare un momento di una più ampia discussione sulle sorti della libertà nel nostro tempo.
Maurizio Griffo
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