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Anno edizione: 2012
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Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Prequel di quel bel libro che è stato "le belve" e come spesso accade quando si è letto un libro precedente che ci ha colpito, ci si ritrova a leggere questo con aspettative alte e si rimane un po' delusi. CONSIGLIO: Non prendetemi alla lettera, ma per quanto riguarda la recensione di Winslow sono di parte perché adoro questo scrittore qualsiasi cosa scriva.
Tra flash-back, omicidi veri e morti false, padri veri e padri falsi, mi è sembrato un gran casino da leggere e troppo faticoso da seguire anche perché la grande amicizia fa chon e ben esce da una fumosità confusa ed anche un po' monotona sempre su gli stessi cliche'.
Ancora una volta Winslow merita il massimo dei voti, fermo restando che Il potere del cane rimane di gran lunga il suo migliore libro, fuori graduatoria per distacco. La storia è coinvolgente, chiarisce e delinea bene ciò che si leggerà ne Le belve senza risultare mera operazione di mercato. Il libro ha una storia sua, indipendente dalle vicende che verranno in seguito. Il ritmo è serrato, come al solito, il finale affatto scontato. Un grande autore.
Recensioni
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L’attacco de “I re del mondo” non è esattamente “Chiamatemi Ishmael”, ma d’altra parte “I re del mondo” non c’entra granché con Moby Dick.
In quell'improperio che apre le danze nel prequel firmato da Winslow, c’è il casello d’entrata per l'autostrada che collega questo romanzo a “Le belve”, il cui successo evidentemente dev’essere stato tale da ispirare – oltre all’adattamento cinematografico di Oliver Stone, sugli schermi in questi giorni – un furore autoreferenziale nell’autore stesso.
Va bene, si dirà: il frullatore pop e postmoderno che Winslow fa girare a pieno regime è talmente veloce e onnivoro da poter digerire anche la propria lingua.
Vero, e lo dicemmo già ai tempi del primo, riuscitissimo capitolo: ma una letteratura sempre pronta a cannibalizzare sé stessa rischia ad ogni passo di scivolare sulla buccia di banana di un compiacimento eccessivo, oppure a fare la fine dei polli nutriti con farine animali.
Eppure il motore va a mille già poche pagine dopo la partenza e, smaltita l’irritazione iniziale (nella quale può incappare eventualmente chi abbia già letto “Le belve”), ci si abbandona al piacere di fare una corsa a rotta di collo su questo ottovolante adrenalinico e violento al punto giusto.
La velocità della storia narrata trova una eco appropriata nello stile che, senza soluzione di continuità, adotta registri diversissimi, metabolizza formati estranei a quelli propriamente letterari (con interlinea degni di una sceneggiatura, incisi negli incisi, digressioni e note a margine che sembrano il bugiardino di un farmaco) e finalmente assolve al proprio mandato, dando vita a una novella amorale, figlia del suo tempo e divertissement pronto per essere consumato dalle generazioni di lettori più giovani e usi al ritmo frenetico di internet.
La storia: Ben, Chon e O (i due giovani narcos californiani ecologisti e complementari, assieme alla loro musa irriverente) dànno l’avvio al loro business idroponico, mettendo a punto una filiera corta per inondare la California della miglior marijuana si sia mai vista.
Quant’è corta, di preciso, questa filiera?
Esattamente quanto la distanza che separa i generatori nascosti in cantina dalle serre al piano superiore, in grado di dare quattro raccolti all’anno grazie a lampade allo iodio e ad un sistema di ventilazione dotato di filtri per il ricircolo dell’aria in fibra di cocco.
A questa precisa, meticolosa ricostruzione di una tecnica al servizio di un commercio come un altro (... that's business, strictly business), Winslow affianca la sua usuale - ma non per questo meno notevole - capacità di costruire dialoghi veloci come scambi di palla sotto rete, e caratterizza i personaggi con gusto quasi cartoonistico per l'iperbole.
Ma anche i piatti più buoni, alla lunga, vengono a noia, e la ricetta non avrebbe più lo stesso sapore della scorsa volta se al canonico plot (una sorta di educazione sentimentale a passo di gambero, condita con molte rivoltellate, un po’ di SSS - sesso senza sentimento, per usare un acronimo che forse piacerebbe allo stesso Winslow) non si aggiungesse un ingrediente segreto.
Qui, ad accendere la miccia e illuminare la vicenda di Ben, Chon e Ophelia sotto una luce di sapore mitologico, è il tema della rivolta dei figli contro i padri.
Il pendolo della narrazione infatti oscilla fra il 1967 e il 2005 perché il microscopio possa cogliere meglio corsi e ricorsi della storia sceglie di indagare su di uno stesso microcosmo, peculiare nelle sue miserie e nei suoi sfavillii: Orange County, California.
Dalla controcultura hippie, finita fagocitata dall'avvento della cocaina e dei relativi cartelli di trafficanti, ad una nuova biorghesia arrembante e narcotica, che cammina con le infradito ai piedi, professa un peace & love 2.0 spogliato di ogni ideologia ma è sempre pronta a usare metodi decisamente old school per mantenere la propria quota di mercato inalterata, e possibilmente vederla anche crescere a scapito di quella altrui.
Non diremo altro, per non guastare il sapore della pietanza iperproteica cucinata da Winslow, ma un'ultima cosa ci preme far notare: il libro contiene trecentosei capitoli in trecentocinquanta pagine.
A volte la lunghezza è a malapena quella di un tweet, in altri casi si sfiorano le due pagine, ma ciò che conta è che ogni nuovo capitolo sia improntato ad una trovata stilistica che contraddica e spiazzi ciò che l'ha appena preceduta.
Basterebbe questa forbice strettissima - una media di 1 capitolo ogni 1,14 pagine - per dare un’idea precisa della mercuriale irrequietezza che Don Winslow ha profuso in The kings of cool, e che ricompensa il lettore con un caleidoscopio abbastanza ipnotico e variopinto da fargli dimenticare quanto sotto quel vestito appariscente ed eclettico ci sia, in fondo, uno spettacolo già visto.
A cura di Wuz.it
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