Questa ricerca di storia diplomatica si propone di analizzare, limitatamente al periodo fra le due guerre mondiali, le relazioni fra l'Italia e l'Afghanistan, un paese certamente lontano sia geograficamente che politicamente, eppure legato al nostro da una serie di rapporti poco conosciuti, che Monzali ha il merito di aver portato alla luce. All'indomani del primo conflitto mondiale, soprattutto grazie all'azione dell'ultimo governo Giolitti, sembrò aprirsi per l'Italia una possibilità di penetrazione in quest'area strategica dell'Asia centrale. L'Italia fascista, invece, nonostante il desiderio di costruire una zona d'influenza nel mondo mediorientale e arabo, ignorò l'opportunità offerta dall'Afghanistan e non seppe gestire nemmeno la vicenda di re Amanullah che, sconfitto nella guerra civile nel 1929, stabilì la propria residenza in esilio proprio a Roma. Ignorando le buone informazioni che venivano dalla legazione italiana in Afghanistan, il regime di Mussolini non fu in grado di impostare una propria politica e rimase impacciato dal desiderio di non scontentare ora gli inglesi ora i tedeschi. Negli anni trenta, perciò, "i rapporti italo-afghani erano sostanzialmente inesistenti" e Kabul fu considerata una sede punitiva per quei diplomatici che erano in attrito con il regime: fu così che vi venne spedito Pietro Quaroni, figura di primo piano della politica estera italiana dopo la seconda guerra mondiale. Questi, come emerge dai documenti ritrovati da Monzali, diede prova delle sue abilità di analisi e di intrecciare rapporti senza tuttavia riuscire a trovare ascolto a Roma. Il volume riesce così a spiegare la cordialità nelle pur deboli relazioni fra i due paesi, ribadita dall'esilio in Italia anche dell'ultimo re dell'Afghanistan, Zahir Shah, nel 1973. Simone A. Bellezza
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