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Sfiora l'inutilità. L'autore non fa una grande scoperta rivelandoci che dietro le ragioni dell'amore si nasconde un tacito amor proprio. E' un concetto elementare, che forse qualcuno ancora ignora (lo stesso Frankfurt?). L'errore in cui molto spesso la filosofia incappa, è cercare di capire, appunto, "le ragioni dell'amore", cosa impossibile. Tutto ciò che si può fare è spendere due parole sulle ragioni degli uomini, riguardo l'amore e nell'approccio con esso. Si tratta di una differenza sostanziale. L'autore fa più volte riferimento ad un tipo di amore genitoriale (praticamente è l'unico rapporto del quale affronta la dinamica, cosa al quanto deludente e piuttosto triste, a meno che non si parli di un manuale di pedagogia), per dimostrare (in quanto secondo lui manifestazione da parte degli uomini, più genuina ed autentica della parola amore), come quest'ultimo superi la propria volontà ed il nostro banale solipsismo. Non ci voleva molto, a questo erano arrivati in molti prima di lui. Lo stesso autore, prosegue e, cito testualmente, conferma che "l'incondizionatezza è amare se stessi". Sarei anche d'accordo, se solo non sentissi l'istinto di far notare al Professore, di aver saltato uno step. Si è impegnato candidamente nell'analizzare le ragioni dell'amore, ma non il modo in cui si manifesta (il che suggerisce un interessamento a "comprendere" che cos'é l'amore, piuttosto che "spiegarlo" attraverso la sua esperienza, prima ancora che tramite i suoi studi), ignorando che quando l'amore arriva, riesce in una titanica impresa, ovvero far vacillare l'equilibrio di tale incondizionatezza, a mettere in discussione noi stessi, il nostro io, la nostra soggettività e quelle poche certezze in cui confidiamo. Peccato devo dire, perché l'autore è sicuramente un bravo psichiatra (nota bene, non filosofo), e quanto ha scritto (in maniera eccellente nel terzo capitolo, discreto nel secondo, pessimo nel primo) da un punto di vista analitico e professionale, è piuttosto notevole, ma sfortunatamente, inesorabilmente GELIDO.
Ho letto con attenzione ed interesse il libro di Frankfurt che trovo estremamente interessante sia per l'argomento, sia per una certa scorrevolezza ed uno stile accattivante, cose oggi abbastanza rare, specie per un autore che viene dal mondo accademico. In buona sostanza, l'autore spiega che l'amore per gli altri è sempre frutto dell'amore che ciascuno di noi nutre, prima di ogni altra cosa, verso se stesso, con la conseguenza che attenzione e dedizione verso l'altro o l'altra non sono che riflessi dell'amore di sè. Francamente non ne sono molto convinto, ma devo dare atto all'autore che sicuramente il suo scritto avrà l'effetto di un sasso gettato in uno stagno e, probabilmente, darà vita ad un dibattito che mi auguro interessante. Frankfurt mi ricorda molto la mia insegnante d'italiano della prima liceo, quando spiegava Dante: una lettura da Kappelmaster, perfettamente rispettosa del testo, puntuale, ma fredda e senza vita. L'episodio cruciale per tuttti i liceali di sedici o diciassette anni era la storia di Paolo e Francesca che la mia brava insegnante spiegava in maniera perfetta, avendo il libro sotto il naso ed incurante dei sommovimenti e delle attese che noi giovani avevamo nel cuore. Niente che rendesse viva quella vicenda. Non amavo quelle spiegazioni, così come non sopportavo il commento del Sapegno, perchè, a mio avviso, entrambi,chi per un motivo, chi per un altro, forse, - è una mia parziale impressione,- non avevano realmente conosciuto il vero amore. Presunzione? Forse si, per cui anche un dottissimo professore universitario ai miei occhi risulta un pò impantanato, quando deve dire la sua su un argomento che è meglio riservare a musicisti e a poeti: colgono meglio il mistero dell'amore, perchè è solo di mistero che si può parlare. Che chi ama, ami un pò anche se stesso, mi pare inconfutabile. Trovo riduttivo e fuorviante che il "sentire " possa essere oggetto di un'analisi scientifica, di un'indagine filosofica, per quanto valido e rispettabile possa essere un grande studioso. Dino Curreri
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