L’articolo è stato aggiunto alla lista dei desideri
IBS.it, l'altro eCommerce
Cliccando su “Conferma” dichiari che il contenuto da te inserito è conforme alle Condizioni Generali d’Uso del Sito ed alle Linee Guida sui Contenuti Vietati. Puoi rileggere e modificare e successivamente confermare il tuo contenuto. Tra poche ore lo troverai online (in caso contrario verifica la conformità del contenuto alle policy del Sito).
Grazie per la tua recensione!
Tra poche ore la vedrai online (in caso contrario verifica la conformità del testo alle nostre linee guida). Dopo la pubblicazione per te +4 punti
Prezzo minimo ultimi 30 giorni: 5,60 €
Tutti i formati ed edizioni
Promo attive (1)
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Durante le guerre nel Caucaso per il controllo del petrolio a migliaia i Ceceni furono deportati in Kazakistan e quelli furono i più fortunati. “Quando il treno si fermò,ricorda Lisa,i Kazaki aprirono il treno bestiame in cui erano stati trasportati lei e la sua famiglia e guardarono con sorpresa tutte quelle persone ammassate, sporche, denutrite, malate. E dissero con sorpresa ancora maggiore: Ma sono esseri umani? I Russi ci avevano detto che trasportavano animali selvatici.” In questo testo della giornalista austriaca Susanne Scholl che è stata arrestata dagli uomini di Putin per le sue continue denunce, si racconta di Eva che ha partorito i figli sotto le bombe russe, che dal marito-padrone è stata rapita perché tra le genti montane vige ancora le legge medioevale che permette all’uomo ceceno di prendere ciò che desidera.Si parla dei suoi sogni, della speranza che un giorno la guerra cessi e i figli diventino Uomini, non ubriaconi che picchiano le mogli o terroristi. Si parla di Sovdat che vide padre , madre e fratelli sparire in Siberia come migliaia di altri Ceceni perché Stalin li considerava traditori, che si vide portare via la figlia primogenita dalla suocera aguzzina perché così vuole la legge medioevale che regola la vita dei clan montani. Si parla delle donne e della loro voglia di vivere,lavorare e non arrendersi alla brutalità, si ricordano Anna Politkovskaja e Nataljia Estemirova che hanno pagato con la vita il loro amore per la verità.
Recensioni
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
"L'idea di questo libro mi è venuta mentre effettuavo le ricerche per un film sulla Russia dopo la morte di Anna Politkovskaja. Allora Natalija Estemirova era ancora in vita e io e lei eravamo in contatto": così l'incipit della premessa. Grazie agli studi di slavistica e al quasi ventennale soggiorno a Mosca come inviata per la televisione austriaca, la viennese Susanne Scholl ha potuto entrare in contatto con le donne di punta della resistenza cecena e con numerose altre donne "comuni" (ma che comuni non sono), protagoniste di un libro che, già destinatario di premi di rilievo, informa, coinvolge ed emoziona, per i fatti che racconta e, non da ultimo, per il prezzo che la giornalista ha pagato per raccogliere le testimonianze: l'arresto da parte della polizia di Putin, che la rilascia solo dopo l'intervento dell'ambasciata austriaca. La parola chiave del libro, che alterna le voci delle donne intervistate al racconto dell'autrice, è la narrazione: "Tutte vogliono narrare fino in fondo la propria esperienza". Alcune, come Eva (classe 1966), hanno fatto della raccolta di informazioni il fine della loro attuale esistenza: documentare il terrore affinché il mondo sappia. E Scholl ne è diventata la loro voce in Occidente. Anche se narrare non è sempre facile, perché il dolore raccontato è talmente forte da indurre il distacco, talora il silenzio: il dire libera e accomuna, ma fa emergere una sofferenza che può "spazzare via quanto rimane di una vita più o meno normale". A parlare sono le madri di Groznyj che, come quelle di Plaza de Mayo o di Belgrado, si incontrano per cercare insieme i familiari scomparsi e tenere vivo il loro ricordo, giornaliste che hanno seguito da vicino i casi di giovani attentatrici islamiche, anziane che hanno subito le deportazioni staliniane, attiviste per i diritti umani. Sono donne vittime di una doppia violenza: della legge di sottomissione agli uomini vigente nelle montagne e della guerra russo-cecena. Ed è dentro questa forbice che esse agiscono, esprimendo la loro rabbia e il loro coraggio nell'unico modo possibile: relazionarsi fra loro, cercare di trovare una via di scampo alla crudeltà dei costumi patriarcali di quella terra martoriata (la poligamia, il rapimento a fini matrimoniali, l'impossibilità di scegliersi il marito o di divorziare) e alla morte portata da guerre che uccidono i figli e falcidiano le famiglie. Nell'intreccio fra storie di famiglia e grande storia, fra maternità a catena (occorre "assicurare più figli al paese decimato in maniera terribile per mano di Stalin") e morti, fra racconto in diretta di azioni di guerra e confidenze lucide e accorate sul rapporto tra i sessi, emerge la solidarietà fra donne, che accomuna generazioni diverse (fino a un certo punto, però, perché non di rado le suocere, cui appartengono i primogeniti, li rapiscono, perpetuando quegli usi ancestrali cui sono state educate da sempre) in un legame che, nonostante l'incertezza del futuro, non ne esclude la progettazione: "Nuovi giornali, nuovi centri dove radunarsi, nuovi corsi di formazione con cui tirare fuori la gente dalla disperazione assoluta. Forse prima o poi così si conclude il libro riusciranno nel loro intento. Si spera". Luisa Ricaldone
L'articolo è stato aggiunto al carrello
L’articolo è stato aggiunto alla lista dei desideri
Siamo spiacenti si è verificato un errore imprevisto, la preghiamo di riprovare.
Verrai avvisato via email sulle novità di Nome Autore