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Quando prendo in mano un libro per leggere un racconto mi aspetto di arricchire la mia conoscenza e di godere di una piacevole esperienza. Per questo devo trovarvi alcuni elementi essenziali: prima di tutto un buon linguaggio, scorrevole e limpido, senza le complicazioni di un sociologismo di maniera o l’esibizione di una erudizione superflua; quindi devo leggere una storia originale che non sfrutti furbescamente gli argomenti di moda; e infine devo essere coinvolto fino all’ultima riga. Questi requisiti li ho trovati tutti, e ben rappresentati, in “Radice quadrata di s(tre)ga”. Il romanzo è un ottimo “thriller” e ne possiede le giuste ulteriori caratteristiche: propone all’inizio una cupa atmosfera che si rilassa però subito in un lunghissimo “flash back” dove si racconta una storia umana, sentimentale e sofferta, ambientata in un idilliaco Salento che fa da contrasto con i personaggi enigmatici; quindi, con un crescendo di episodi misteriosi, produce la giusta dose di ansia e prepara il finale a sorpresa. Non posso dire di più per non pregiudicare il gusto della lettura che, specialmente in un thriller, risiede nel mistero da scoprire a poco a poco. Dopo la lettura mi restano due interrogativi: il significato del titolo, ermetico intrigante e allusivo, e la curiosità di sapere che succederà dopo il finale che è (volutamente?) solo abbozzato, suggerito, sottinteso, lasciato anche all’immaginazione del lettore. Forse Paolo Barili, l’autore, intende proseguire il racconto con un nuovo romanzo? Me lo auguro, perché la storia è veramente originale e suscettibile di imprevedibili sviluppi.
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