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Anno edizione: 2020
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Funzionari, scienziati, intellettuali, manager... Chi sono gli esperti a cui abbiamo affidato la gestione delle nostre vite? Quando, come e perché ci siamo messi nelle loro mani? E cosa succede se i risultati del loro lavoro non sono all'altezza delle nostre aspettative?
«Un affresco impietoso di una crisi di sistema che si allarga alla politica, all'economia e perfino alla democrazia» - Alessandro Trocino, la Lettura
Affidando le nostre vite agli esperti, ne siamo anche diventati dipendenti. È una storia lunga, la storia di come l'umanità ha ridotto l'incertezza del mondo delegandone la comprensione e l'amministrazione a un'élite di individui considerati «migliori». Il Novecento ha segnato il trionfo di questi operatori specializzati, mostrando la loro eccezionale capacità di assicurare decenni di sicurezza e sviluppo, finché qualcosa si è inceppato. Di fronte ai competenti si ergono oggi i loro nemici autoproclamati: chiamiamoli populisti, perché oppongono alla retorica della minoranza istruita quella del «popolo», ai radical chic un radical choc. La domanda che pongono è urgente e merita di essere presa sul serio: a cosa servono gli esperti se non garantiscono piú gli stessi rendimenti del passato? Come i cicli economici richiedono talvolta, per ripartire, la sostituzione drastica di un parco tecnologico obsoleto con macchine di ultima generazione, anche i cicli culturali hanno bisogno periodicamente di essere resettati e riavviati. Al prezzo, va sottolineato, di un rischio colossale: perché se in rari casi questa strategia di «distruzione creatrice» permette l'inizio di una rinnovata fase di crescita, piú spesso porta invece alla catastrofe. E se fosse giunta anche per noi la fine di un ciclo?
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"Il mondo in cui siamo cresciuti appartiene già a ieri". Con questo pensiero il cerchio finisce e inizia. Come stelle nel cielo già morte e spente da migliaia di anni ma che ancora vediamo luminose. In quale ritardo di esistenza viviamo? Questa è la domanda che emerge in me dopo aver letto Radical Choc. Alcune tesi le conosciamo già per esperienza diretta, almeno credo. La specializzazione e la competenza sono eccessive rispetto al posto occupazionale che richiede il mercato. E allora il surplus umano dove si situerà in una società che non ha la capacità di utilizzare tutte le energie che forma? Qui non si parla di energie ecologiche o tecnologiche (ricerca ideologica di armonia tra passato e futuro) ma dell'energia umana inutilizzata (il fondamento della società). Quanta disoccupazione specializzata gira per le strade del mondo? Quanti inoccupati o occupati in lavori che non riguardano la propria specializzazione o i propri investimenti di studio, scuola, università, incontriamo giornalmente, disperati? I competenti lo sono veramente? Il mercato vuole realmente il meglio per sé e per tutti? E quanto meglio può essere contenuto in un'economia che ci vuole solo consumatori pronti a sacrificare tutto, compreso la democrazia (ultimo baluardo di una libertà oramai solo a basso costo)? Viviamo già in un ieri e non ce ne siamo ancora accorti. Il cerchio si stringe.
Disamina puntuale e disincantata di molti dati attuali, e previsioni sul futuro un po' fosche. Rispetto ai lavori precedenti dello stesso autore, è un volume un po' più ripetitivo su alcuni concetti che vengono ribaditi in più punti con minime variazioni; si percepisce la rapidità nella composizione di questo volume, messo a punto nello scorso lockdownd.
Recensioni
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I saggi di Raffaele Alberto Ventura sono tra le più lucide analisi sociologiche del tempo presente che si possano leggere, e insieme un manifesto di una generazione che chiede di dar voce alle proprie istanze e ai propri problemi. Come pochi e con raro tempismo, Ventura sa fotografare e comprendere quello che sta accadendo nella società occidentale. Ne aveva dato sorprendente dimostrazione nel 2017, con il suo esordio Teoria della classe disagiata, e poi due anni più tardi con La guerra di tutti, entrambi editi da minimum fax. In maniera un po’ diversa, lo conferma il recentissimo Radical Choc, il quale va a comporre con i precedenti una dichiarata trilogia, dove ogni volume va a integrare e completare le tesi esposte negli altri.
Come riporta il sottotitolo, Radical Choc va a occuparsi dell’ascesa e del declino dei competenti.
La tesi principale è che l’anti-intellettualismo, il populismo, la rivolta contro gli esperti, tendenze sempre più diffuse nella società occidentale di oggi, sono elementi di una “rivoluzione” in atto, che porterà all’avvicendamento di un potere con un altro. Come la Rivoluzione francese ha portato alla destituzione dell’aristocrazia e alla presa del potere da parte della borghesia, così questa rivoluzione porterà alla destituzione della classe degli esperti; il paradigma della competenza sostituito dal paradigma dell’incompetenza. Ventura ne parla come un processo già iniziato e ormai inarrestabile, e, attraverso una prospettiva sociogenetica, ne indica i punti di convergenza con altri processi di avvicendamento di un’élite con un’altra (e di un paradigma con un altro) già avvenuti nella storia.
È l’immagine di Fantozzi che, al grido di “La corazzata Potemkin è una cagata pazzesca”, fa scattare la rivolta dell’uomo medio nei confronti dell’élite intellettuale. Il prof. Guidobaldo Maria Riccardelli viene fatto prigioniero e tenuto ostaggio dei rivoltosi, capeggiati proprio da Fantozzi, che brucia la copia personale di Riccardelli del capolavoro di Eisenstein. Lo stesso Ventura cita Il secondo tragico Fantozzi, nella scena, però, del colloquio psicoattitudinale a cui Riccardelli sottopone Fantozzi: la conoscenza del cinema espressionista tedesco utilizzata come criterio – del tutto insensato e inefficiente – per valutare la competenza dei candidati in funzione di un lavoro da ragioniere nella Megaditta.
La legittimazione dell’élite competente si fonda su un rapporto di potere ineguale, basato a sua volta su uno scambio economico ineguale: da una parte una ristretta classe di esperti che vende le proprie competenze e il proprio prestigio ad alto valore aggiunto; dall’altra una classe ben più ampia che vende la propria forza-lavoro a un basso valore aggiunto. Per dirla in maniera più elementare, c’è una retribuzione ineguale nel lavoro di un ingegnere civile rispetto a un manovale. Questo potere viene legittimato da sempre sulla base di un consenso, di una servitù volontaria, dovuti a un vantaggio reciproco. La competenza, di fatto, è necessaria alla società perché garantisce sicurezza e protezione dalle incertezze. Al tempo stesso, in una società differenziata funzionalmente, il centro delle élite e la periferia del popolo sono in stretta dipendenza.
«La competenza è necessaria per far funzionare la complessa macchina della società capitalistica e garantire sicurezza e sviluppo. La classe competente è una parte minoritaria della società che drena una più grande fetta della ricchezza prodotta, ma non lo fa certo con la forza. Si potrebbe dire, come suggerisce Pareto, che lo merita. O perlomeno che ha convinto il resto della popolazione di meritarla.» (p. 69)
Il problema è che tale vantaggio reciproco sta venendo meno. Prendendo in esame una vasta tradizione di studi, da Max Weber a Gaetano Mosca, Ventura analizza i fattori che stanno portando l’élite dei competenti ad esaurire la propria legittimità. Tra questi, soprattutto il fattore dei costi-benefici. Il rapporto di potere ineguale tra competenti e non competenti smette di essere conveniente: dall’efficienza passa a produrre sempre più spesso inefficienza. «L’aumento dei costi di riproduzione in seno alla classe competente, ovvero dei costi di formazione e selezione dei suoi membri» corrisponde a una diminuzione dei benefici. Secondo la logica dei rendimenti marginali decrescenti, siamo giunti al punto in cui diventa necessario un enorme investimento economico per ottenere un esiguo incremento di produttività.
Inoltre, alla prova delle crisi che sempre più spesso minano la stabilità di tutti i sottosistemi sociali, i competenti risultano non più in grado di disinnescare le incertezze e garantire sicurezza, ovvero la missione che gli era stata delegata e la ragione in funzione della quale si accettava un rapporto di potere ineguale. Anzi, il sistema arriva a produrre rischi nell’impegno di impedirne altri: è il principio della iatrogenesi che Ivan Illich ha traslato dalla medicina alle scienze sociali.
Portando come esempi l’incendio di Notre Dame, il disastro di Chernobyl, la stessa pandemia di Covid-19, Ventura esprime in forma di funzione algebrica un paradosso cardinale: più aumenta la competenza, più diminuisce la capacità di reagire all’imprevisto. Già in Teoria della classe disagiata, Ventura esprimeva una critica nei confronti del sistema educativo. Qui arriva a evidenziarne ulteriori bias: su tutti, una «sostituzione dei fini» tale per cui l’acquisizione di titoli smette di essere un mezzo per ottenere competenza e diventa un fine in se stesso. Si passa da accumulare competenze, dunque, ad accumulare credenziali, al fine di ottenere non le competenze stesse, ma il prestigio e i «segnali» dovuti al possesso dei titoli. Tutto questo produce una competizione insana, una guerra di status «improduttiva e persino controproduttiva», che a sua volta determina la fragilità di sistema. Questa è altresì una delle ragioni che determinano l’ascesa della classe disagiata: delusa e disillusa, frustrata, pronta persino alla lotta.
Come già nel precedente La guerra di tutti, Ventura offre un’analisi acuta e interessantissima, dura e impietosa del tempo presente, in un quadro d’insieme decisamente nero e avulso da illusioni ottimistiche. In questo le sue opere si dimostrano avere anche una funzione operativa e ispiratrice: nel porci dinnanzi a tali e gravi problemi sociali, ci mostra che il percorso che abbiamo intrapreso come società non solo è errato, ma con molta probabilità ci porterà a cadere in un precipizio. Non è nelle possibilità dei singoli risolvere la situazione, ma la presa di coscienza che innesca e la capacità di indurre a comprendere un complesso sistema di cause ed effetti macrosociali non possono dirsi certamente non utili e non necessari.
L’unico appunto che si può fare qui a Ventura riguarda un cambiamento nello stile di presenza rispetto alle opere precedenti.
Forse il prestigioso passaggio a Einaudi lo ha costretto a una maggiore formalità, sacrificando l’irriverenza e l’umorismo, lo slancio oso dire militante, il citazionismo pop che avevano colpito i lettori dei suoi saggi editi da minimum fax, laddove emergeva il suo anticapitalismo e si poteva intuire un velato marxismo, e la sociologia si combinava alla letteratura, e ai riferimenti a Foucault o ad Aristotele si alternavano quelli a Rihanna o a Kim Kardashan, e si spiegavano le teorie di Hobbes ricorrendo a Tom e Jerry.
La sfrontatezza dell’eclettismo metodologico venturiano c’è ancora, ma notevolmente smorzata e ridotta all’osso. Il respiro da manifesto generazionale che aveva contraddistinto La guerra di tutti e ancor più Teoria della classe disagiata, e che rappresentava una caratteristica fondante della prosa di Ventura, in Radical choc è andato perso, a vantaggio di un tono decisamente più composto e di una forma saggistica più tradizionale. Un Ventura qui più abbottonato, forse al di sotto delle sue potenzialità, ma comunque, a ragion del vero, sempre in discreta forma.
Recensione di Giuseppe Rizzi
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