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Una vera delusione. Niente a che vedere con i racconti fantastici di autori occidentali della stessa epoca. Capisco che il mondo giapponese non è di facile comprensione e sicuramente il mio punto di vista è permeato da una cultura occidentale che non mi fa comprendere appieno questi racconti e il loro significato, ma li ho trovati veramente ingenui. Si tratta perlopiù di fiabe rivisitate con storie di samurai, bambini e animali che, almeno a me, non hanno lasciato il segno.
Recensioni
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scheda di Ravizza, P., L'Indice 1996, n. 3
Gli otto capolavori in miniatura che Akutagawa Ryunosuke (1892-1927) scrisse agli inizi del secolo si rifanno a leggende, tradizioni, eventi storici e cronachistici irreali ma dati per veri, reinterpretati secondo la fervida immaginazione dello scrittore giapponese. Ci sono leggende ("Il tabacco e il diavolo" e "Il tasso"), tre fiabe ("I cani e il flauto", "Momotaro" e "Il filo di ragno") e tre racconti di pura fantasia ("Magia", "Il "sennin"" e "Bianco"), questi ultimi surreali e scritti in un linguaggio efficacissimo a rendere il senso di inafferrabilità di quanto accade: tizzoni di carbone che diventano monete d'oro, un servo non pagato che levita al cielo, un cane bianco che diventa nero. Merita attenzione "Momotaro", la fiaba che "come tutti i bambini giapponesi ben sanno" narra del bravo ragazzino nato da una pesca. Qui il racconto è capovolto: il ragazzino è pestifero, presuntuoso e violento; conosce solo le ragioni della propria volontà. I demoni che lui distruggerà sono un popolo mite e buono. Lo si legge anche così: Momotaro è il Giappone dalle mire espansionistiche di inizio secolo; i demoni, la Corea e la Cina. La splendida traduzione del difficile Akutagawa è di Cristina Ceci.
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