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recensione di Stegagno Picchio, L., L'Indice 1994, n. 4
La collana è nuova, non priva di una sua componente provocatoria a cominciare dal titolo, "I taschinabili", e cioè accoglibili nel taschino, con evocazioni semantiche di "cestinabili", salvo l'avviso in portico, a firma di Aldo Manuzio: "Libelli portatiles in forman enchiridii", dove l'enchiridio-'enchirìdion' è l'equivalente cinquecentesco del nostro "manuale", "capace di stare in una mano". Di questi librini intelligenti ce n'è ormai una profluvie. Da quando l'editoria del proto, della tipografia e delle bozze ha passato la mano alle piccole case editrici dei computer e del fai-da-te, il livello di divertita competenza è senza dubbio salito. Si moltiplicano le scoperte di testi insoliti e anche la lettura è diventata anticonvenzionale, episodica, priva della sacralità del pieno impiego di un tempo.
Eppure i racconti di Rosalba Campra, splendidamente tradotti da Gianni Toti, ti prendono fin dalle prime pagine con una loro letterarietà che esige attenzione e antenne di intertestualità. Nella loro prima veste, argentina, avevano un titolo più specificamente legato alla loro origine: "Formas de la memoria". Ectoplasmi della memoria si potevano anche tradurre, mettendo subito l'accento sulla componente fantastica, surreale, stralci di realtà memoriali di un passato collocabile piuttosto nell'entroterra di un intero popolo o di una sua generazione, anziché di un singolo individuo. E in questo senso i "Malos Aires" attuali, risvegliatori per antifrasi dei "Buenos Aires" della capitale argentina, ricollocano il testo nella loro precisa cornice. Anche se i "malos aires" appartengono tutti alla memoria, legati a un'emigrazione ancora oggi sentita come sradicamento, perdita non rimediabile di radici. Rosalba Campra è nata a Cordoba, Argentina, e risiede a Roma dove insegna letteratura ispano-americana. Ma anche la sua produzione saggistica nasce tutta sotto il segno della letteratura, dove il fantastico, proprio dell'odierna narrativa rioplatense, è inteso come costante trasgressiva in una tradizione letteraria che ha i suoi capisaldi in Borges, Cort zar, Felisberto Hern ndez, per citare solo i modelli ormai canonici. Senza peraltro sottovalutare la componente ludica di queste prose, la loro volontaria frammentarietà, come un invito a ricomporre una storia (sempre che una storia ci sia) da semplici indizi, richiami, allusioni. Eppure è proprio il gioco intertestuale, e anche il sussidio, ironico, di un indice suddiviso in paragrafi, come contenitori ordinanti di contenuti affini, a suggerire una lettura a tesi, radiografia delle intenzioni transvolontarie. Direi che, nella ricomposizione e riproposta in volume di queste schegge memoriali, con le sue sezioni ordinate (I. "Emigrazioni", II. "Memoria", III. "Fondazioni", IV. "Marchingegni", V. "Ruoli", VI. "Vite private", VII. "Battaglie", VIII. "Fin dei conti"), l'indice funziona proprio come quei sommari di pregiate edizioni di frammenti greci, dalla cui lettura si esce deliziati per il lampo di un'immagine, ma sempre sconfortatissimi per tutto quanto non sapremo mai, irrimediabilmente perduto. Con le dovute proporzioni, naturalmente.
Nella sua bella postfazione, Ern n Loyola cerca anche lui di agganciare i frammenti di Rosalba Campra a qualche cosa di esistente o, addirittura, di pre-esistente. Ed ecco i riferimenti al qui e là, al prima e dopo di ogni emigrazione: per esempio la coppia Parigi-Buenos Aires nel "Gioco del mondo" di Cort zar, con sempre nello sfondo l'identità 'mestiza' del latino-americano e il realismo magico-meraviglioso di Carpentier o Garc¡a M rquez; ma senza rifiutare, proprio in nome di quell'identità 'mestiza', i modelli ubiqui di un Kafka o del nostro Dino Buzzati. L'incipit è borgesiano, con quel suo richiamo all'"Ordine fondato in tempi di cui esso stesso non conserva memoria". Ed è un ordine che colloca immediatamente questi racconti nel segno di un orwelliano 1984: dove l'ordine è dittatura, prevaricazione dell'autorità sul singolo. Non per niente Rosalba Campra è argentina di questo scorcio di secolo. Ci sono poi prose bellissime: come quelle di "Traversata", dove un emigrante, che lascia le grame vigne del suo villaggio per poter finalmente andare a lavorare una terra che gli appartenga, si pensa "attraverso gli altri come lui appoggiati al parapetto con gli occhi fissi sul mare incessante, come lui pensandosi", o si pensa "nel suo futuro, in quello dei suoi figli, in quel paese sconosciuto, ma si parla già in una lingua che ancora non capisce". C'è la definizione-descrizione di ciò che è, o potrebbe essere, o alcuni immaginano che sia, "La Libertà": un'orgia solo attuabile in una società di cui tu sia l'unico sopravvissuto. C'è il capitolo delle "Fondazioni", scoramento di chi sa come le mitiche "Scoperte" non siano più possibili oggi. Il quaderno, capitatoci tra mano dopo molte peripezie, è senza dubbio una falsificazione se, "seguendo le rotte segnate con tanta esattezza, siamo arrivati un'altra volta in America". Ma perché tentare di esplicitare ciò che è nato implicito, di svelare ciò che è stato visto sempre come velato? Forse perché l'explicit, dopo tutto, si ricollega in cornice di significato all'incipit: "Fra i privilegi dell'Ordine si conta l'insistenza".
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