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Anno edizione: 2006
Anno edizione: 2006
Anno edizione: 2011
Boris Biancheri diplomatico giramondo, esperto di politica internazionale è alla sua terza prova narrativa. All'opera d'esordio, L'ambra del Baltico (Feltrinelli, 1994; un carteggio immaginario con lo zio, Giuseppe Tomasi di Lampedusa: scrittore cui si richiama per l'estrazione aristocratica dei suoi personaggi), fece seguito Il ritorno a Stomersee (Feltrinelli, 2002; cfr. "L'Indice", 2003, n. 1; Premio Grinzane Cavour). Ora è la volta della prova forse più ambiziosa: la lunga saga della famiglia nobile Grabhau in un romanzo che si dispiega nel tempo, dal Cinquecento al secolo scorso, e nello spazio, là dove l'esilio, volontario o imposto, volta per volta conduce i suoi protagonisti e l'esilio è il tema conduttore dell'opera.
Tutto comincia con Konrad Grabhau, capostipite delle peregrinazioni, che nel XVI secolo dalla nativa Pomerania si sposta nel Baltico orientale, in Livonia (poi Lettonia), per portarvi "la civiltà e la luce di Cristo", compiendo il primo dei cinque esili cui la famiglia andrà incontro; sarà sempre disatteso l'originario desiderio di fare ritorno in patria, con il tempo via via meno avvertito. Il corso della storia costringerà i Grabhau, successivamente, all'esilio in uno sperduto paese della Russia sterminata, verso un declino che si rivelerà irreversibile. Ai primi del Novecento sarà la volta, con un salto temporale, di Eduard Grabhau, che dopo aver combattuto nella prima guerra mondiale e poi contro i rivoluzionari bolscevichi, si reca a Roma, ospite di lontani parenti. La coeva ambientazione romana palesa la somiglianza, per quel lasciare passivamente che la vita si compia, senza opporre resistenza alcuna, con il Rubè (1921) di Giuseppe Antonio Borgese capofila di una generazione di "indifferenti" in letteratura che nel capolavoro di Moravia (1929) troverà consacrazione. In Eduard si rivela appieno un tratto caratterizzante la stirpe dei Grabhau, quasi un estremo approdo di qualcosa in loro innato: i fatti della vita osserva il narratore già nelle prime pagine "nel momento in cui si realizzano perdono ogni interesse. Non vi è dunque mai ragione di accelerare qualcosa perché, così facendo, se ne anticipa la morte". Che fa il paio con un'altra osservazione, da parte di un narratore di stampo classico, incline allo stile gnomico: "I viaggiatori che intraprendono viaggi molto lunghi, a un certo punto cambiano rotta. L'inquietudine, l'ambizione o anche la semplice curiosità li attira verso altri luoghi e solo gli imbecilli arrivano immancabilmente a destinazione". Un elogio dell'atto mancato.
Le successive peregrinazioni porteranno Eduard negli Stati Uniti, assieme alla figlia e alla domestica, ultima sopravvissuta dello stuolo un tempo copioso del personale a servizio presso i Grabhau (e non passerà molto tempo, nel nuovo continente, che sceglierà di abbandonarle, per fare ritorno in patria). Il quinto esilio del titolo è quello della figlia Sophie, che si batte in difesa dei bianchi???, per un mondo più giusto, negli anni della contestazione americana: sorpresa in una sparatoria con i poliziotti, finirà in carcere, dove rassegnata accetterà la reclusione come ancestrale condizione di esiliata.
Come già nel precedente libro di racconti, in Biancheri il viaggio (anche reale, non solo metafora di un destino) tende a un approdo non già nella pienezza, nel compimento, quanto piuttosto nella dissolvenza: del tempo, dell'identità, e delle stesse ragioni del vivere, in un'opaca zona di confine tra la vita e la morte. Questa sospesa atmosfera di dissolvenza, propria allo scrittore, rende probabilmente più congeniale a Biancheri la misura breve ed ellittica del racconto, più che la narrazione distesa del romanzo.
In siffatto percorso, unica possibile via di fuga all'inevitabile sfacelo sembrerebbe essere rappresentata dal sesso, come possibile riscatto (così è per una giovane smaniosa Grabhau, che pur di recarsi a Parigi, tanto agognata nelle sue letture, concede il proprio corpo al precettore, che nottetempo invece fugge via) o semplice refrigerio all'afa del vivere (come nei suoi incontri notturni con la domestica accade a Eduard, che tuttavia non riesce a redimersi).
Si segnala, infine, la suggestione icastica delle similitudini, particolarmente efficaci, il tratto più rimarchevole di uno stile limpido e leggero, penetrante nella sua sobrietà.
Marcello D'Alessandra
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