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Il pensiero di Burke è stato rubricato come pienamente liberale o come intrinsecamente conservatore. Per evitare queste oscillazioni e per cogliere il senso dei suoi scritti è indispensabile attenersi a un duplice accorgimento euristico. In primo luogo bisogna contestualizzarne le prese di posizione riportandole sempre alle coeve vicende dell'Inghilterra di fine Settecento. Contemporaneamente, però, occorre tener presente che la sua riflessione non è totalmente funzionale alle mutevoli condizioni della lotta politica, ma si muove all'interno di un orizzonte intellettuale circoscritto dalla dottrina della Ancient Constitution, depositario storico della tradizione britannica e naturale garanzia di equilibrio pratico. Queste considerazioni vengono in mente leggendo il libro di Donatella Buonfiglio: una ricerca che affronta un aspetto particolare dell'attività di Burke, ma lo fa senza mai perdere di vista le coordinate generali che innervano e sostengono le sue prese di posizione contingenti. Il predominio britannico in India sorge in modo improvviso, tant'è che una compagnia commerciale si trova a gestire compiti politico-amministrativi. Nelle pieghe di questa espansione disordinata c'erano ampi margini per irregolarità e soprusi. Successivamente si passa a una fase di riorganizzazione. In questo percorso di razionalizzazione del potere un ruolo non trascurabile è svolto da Burke, che nel 1786 iniziò una procedura di impeachment contro Warren Hastings, primo governatore generale britannico in India. Se Burke attinse ampiamente alle accuse di Philip Francis, strenuo oppositore di Hastings nel consiglio del Bengala, egli non fu passivo strumento del risentimento di Francis, ma utilizzò le sue informazioni per porre un problema essenziale, l'affermazione del rule of law come regola di gestione anche dei domini coloniali.
Maurizio Griffo
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