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Anno edizione: 2020
Anno edizione: 2020
«Un romanzo che disegna una parabola narrativa da seguire» - Demetrio Paolin, La Lettura
Un visionario regista canadese sceglie Venezia come ambientazione per il sequel del film western "Il mio nome è Nessuno". Attori e tecnici sono pronti per iniziare le riprese, ma una catena di errori, omissioni e storture burocratiche complica lo sbarco dei cavalli. L'afa lagunare rende l'attesa opprimente. Corrono voci, fomentate da un giornalista locale, che collegano la presenza della troupe in città ad alcuni eventi inquietanti: una moria di pesci in laguna, una strana muffa rosa sui muri delle case. Angelo, giovane direttore tecnico di origine italiana, e la sua collaboratrice Sarah tentano di mediare fra le esigenze della produzione e le posizioni sempre più pressanti di alcuni residenti; ma la tensione cresce fino a quando un gruppo di comparse aderisce così tanto al proprio ruolo da impossessarsi dei costumi da cowboy e battere la città come un Mucchio Selvaggio, compiendo violenze e intimidazioni in nome di una ritrovata autenticità locale. Un bambino che tutti conoscono come Momo osserva i movimenti delle persone e delle cose e li collega alle mezze frasi che sente dai genitori, dalle bambine più grandi, a scuola. Dal finestrino del treno che ogni pomeriggio lo riporta a Mestre, vede i cavalli stallati sull'isola di San Secondo, sente che sono in pericolo e decide di scoprire il loro destino a tutti i costi. Postfazione di Dario Voltolini.Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Non capisco l'assurda "recensione" di Luisa S., davvero ingiusta. Qualche leggera punta di noia qua e là c'è, ma nel complesso il romanzo è buono. La collana è super.
Uno dei peggiori libri mai letti. Inconsistente e soprattutto noioso. C'è addirittura una postfazione, manco si trattasse di Elsa Morante. Lasciate perdere.
Sette cavalli isolati su un isolotto, come i sette miliardi che siamo sulla terra. In rovina per colpa di figuranti nei panni sbagliati, gente che invece di fare quello che deve, si distrae, voltano le spalle all’isola, si ubriacano tra loro, e intanto i cavalli deperiscono… È un libro potente. Come le sette voci dei sette cavalli. È un libro in cui tutto quello che c’è, si vede. E ti resta dietro le palpebre, come restano dietro a quelle di Momo, il piccolo protagonista. È un libro in cui le voci riescono a risultare distinte, pur mantenendo un raffinato «stile» autoriale. È un libro dove si mostra una Venezia, che non è quella Venezia là, patinata. È la Venezia dell’attesa, di un cazzeggiare, di un mai partire, di un trattenere, e dove le «nuvole si muovono in branco galoppando nel cielo». È un libro dove la chiarezza che viene fatta alla fine chiude il cerchio composto da un inizio «reale» che scivola verso l’evocazione narrativa, che non è finzione, ma forza di immaginario, per poi tornare alla realtà. È un libro di cui alcuni faticano a riassumere la trama, ma dove alla fine quella sensazione di «sfuggevolezza» della storia rimanda al lettore la resa perfetta della “follia”. È un libro molto cinematografico; come una storia che sottostà a una regia precisa, effetto creato alla visione ristretta su inquadrature che non permettono di distrarsi, e in questo modo l’autrice porta il lettore prima all’interno dell’assurdo, per poi ricondurlo fuori, ripuntando la camera sulla materia. È un libro che a me pare davvero bello. Oltre che originale e attuale. Originale per la voce autoriale forte e musicale, per lo stile raffinato, e per l’idea di controllo linguistico che mette in pagina un sistema d’immagini legato al gruppo semantico del «cavallo». Attuale perché riesce a mostrare la decadenza del bello e del naturale, rinnovando interamente i luoghi comuni troppo consumati dei temi ambientalisti di questi tempi, rimandando le colpe all’agire «folle» dell’uomo.
Recensioni
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
I dati di questo secondo, parziale lockdown, per quanto non drammatici quanto quelli del primo, in cui l’intero mercato librario era stato delegato agli store online, confermano una tendenza: senza fiere, festival, eventi e presentazioni, le novità letterarie soffrono molto. Fatto se vogliamo naturale, fin ovvio, ma esistendo in Italia una ricorrente vulgata che le vorrebbe “inutili”, vale la pena sottolinearlo. E varrà parimenti la pena parlare delle novità letterarie valide, che pure ci sono, e buone, frutto della capacità di ricerca di case editrici indipendenti grandi e piccole.
Chi, giunto a questo punto, pensasse che le difficoltà del momento abbiano bloccato la ricerca di voci italiane, si sbaglierebbe: non solo una nuova voce, ma una nuova collana, giunge in questi tempi ingrati dal lavoro di Giulio Mozzi, instancabile cercatore (e allevatore) di scrittrici e scrittori, padre putativo di chiunque abbia mai fatto scouting letterario nell’Italia contemporanea, nonché cugino ideale di Bermudez in quanto persona italiana di cui è più atteso un eventuale, futuro romanzo. La collana si chiama Fremen come i resistenti di Dune, esce per Laurana Editore e si presenta col romanzo La questione dei cavalli, esordio di Arianna Ulian, classe 75, veneziana, filosofa della scienza: un testo di scintillante (o, volendo, scalpitante) originalità: non solo per il campo immaginario di partenza, già di per sé notevole – un’impresa alla Fitzcarraldo (o alla Jodorowski alle prese, appunto, con Dune): un film western da girare a Venezia – ma anche e soprattutto per la polifonia di persuasive voci umane e animali (in particolare equine: di cavalli bloccati su un isolotto). Una maturità stilistica – e, soprattutto, un controllo – che fanno venire il dubbio che Ulian appartenga alla schiera ristretta e nobile di coloro che, prima di esordire, hanno cura di scrivere altri libri che, nella consapevolezza della loro condizione di prove, vengono poi lasciati nell’ombra senza rimorsi, onde permettere all’esordio effettivo di sfolgorare, ma come ci sia arrivata ha poca importanza, giacché a un libro così si arriva sempre e comunque lavorando tanto, in un modo o nell’altro: quello che conta è che c’è, a Venezia e in Italia, una scrittrice in più.
Recensione di Vanni Santoni
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