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Ho appena finito di leggere il libro e sono molto incerta sul giudizio da dare, ma sento il bisogno di esprimermi e già questo per me è un segno positivo. Andiamo per gradi: dopo l'iniziale scena del morso,che rapisce il lettore e lo tiene in sospeso nonostante o forse anche grazie alla inesorabile lentezza dello scorrere del tempo fino alle festa a casa degli amici. Dopo, la scrittura scivola in una stancante e munuziosa narrazione che, a tratti, non sa di nulla e fa intorpidire e, a tratti, tiene allerti e sorprende (la cena a casa dell'amica) per la capacità di creare vivide immagini di una realtà grigia, o meglio, in bianco e nero. Dalla scena del pronto soccorso in poi il romanzo mi ha rapito fino alla fine, che lascia l'amaro in bocca. Vite oltraggiate, violate da un mondo verso cui si è fiduciosi, ma che trradisce con un morso di un gatto o con un'invasione di teppisti a casa. Questa realtà che rende fragili e riesce a far sobbalzare consolo uno squillo del telefono? Quello che rimane' può essere l'amore nella coppia fatto di sesso consumato con fredda indifferenza da un lato, ma anche di intima complicità e di profondo e silenzioso affetto. E la rabbia, la malatia trasmessa dagli animali randagi e quella vera dell'essere arrabbiati, è temuta fino alla fine, ma forse, a ben guardare,anche desiderata. 'Dio, se ho la rabbia, sono uguale a tutto quello che c'è fuori' dice la protagonista. E se quello che rimane non fosse altro che un cupio dissolvi?
E' un libro irritante e noioso.
Non conosco altri romanzi di questa scrittrice, vorrei solo sperare che siano migliori, ma di certo non mi verrà più la voglia di andarlo a verificare. Se questo lavoro era rimasto sepolto per anni nel dimenticatoio ci sarà pur stata una ragione plausibile: francamente di un libro così non se ne sentiva la necessità. Una verbosità e una sfilza di metafore incongrue che mettono veramente a disagio e non riescono a mascherare l’insignificanza dei contenuti, il pensiero obsoleto e una scrittura sciatta, difettosa e straripante di banalità. La prefazione di Franzen, resosi generosamente disponibile a siglare pagine d’elogi su un romanzo che a mio parere non ha nemmeno letto, è quella che spinge il lettore a tener duro ad oltranza, forse perché insicuro del proprio giudizio, forse speranzoso di veder arrivare prima o poi un capitolo che riesca a riscattare tanta pochezza. Niente! E’ la fine il miglior momento della lettura e per fine si intenda proprio la chiusura del libro. Resta l’amaro di essere caduti in una trappola editoriale ben congeniata e di esserci lasciati scippare l’importo che avremmo utilizzato meglio per scopi benefici. Mi auguro che nessun altro dopo di me ci caschi.
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