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bellissimo libro. ogni pagina è piena di vita. L'autore riesce ad essere bravo con leggerezza riuscendo a fare una cosa difficilissima: rendere quasi credibile la voce narrante di un bambino di 10 anni.
Recensioni
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WINTON, TIM, Quell'occhio, il cielo
BIRMINGHAM, JOHN, E morì con un falafel in mano
recensione di Concilio, C., L'Indice 1997, n.10
Accade a volte, quando meno ce lo si aspetta, quando tutto sembra andare bene, che la vita deragli: un incidente d'auto e niente è più come prima. Il piccolo Ort guarda con i suoi occhi di bambino di dieci anni il padre che si allontana come sempre con il furgone e lo vede tornare su una sedia a rotelle, incosciente, con un buco nella gola per respirare. Al bambino non resta che osservare il mondo, questa vita deragliata, gli adulti. E l'isotopia dello sguardo, testimoniata dal titolo, permea tutto il romanzo fin dall'inizio, perché agli occhi di Ort "il cielo è dello stesso colore degli occhi di Mamma e di Papà. Quando lo guardi per un po', come sto facendo io adesso, infilandoci il naso dentro, sembra proprio identico a un occhio. Un grande occhio blu. Che guarda in basso". Del padre immobilizzato il figlio nota immediatamente che gli occhi non guardano in nessuna direzione particolare, sono come persi nel vuoto, mentre l'angelo-farabutto che viene in aiuto alla famiglia ha occhi che non guardano mai nella medesima direzione. Quest'uomo, venuto dalla boscaglia ad accudire l'invalido, ha infatti un occhio di vetro e blatera di cose incomprensibili in preda a un attacco di epilessia.
Lo sguardo non sempre è accompagnato dalla visione, vale a dire dalla comprensione. Ort spia gli adulti nelle altre camere della casa e a sua volta si sente guardato dal cielo che più oltre, nel corso del romanzo, si confonde con un Dio che tutto vede; salvo poi sentire di avere gli occhi di tutto il mondo puntati addosso, quando un'onda gli porta via i calzoncini e lui emerge, nudo, sulla spiaggia. Ort guarda il mondo senza capire fino in fondo, però Ort vede cose che gli altri non vedono, miraggi che i suoi occhi bambini non vogliono abbandonare per una realtà in cui crescere è difficile. Senza voler a tutti i costi complicare ciò che complicato non è, basti dire che il romanzo di Tim Winton è ironico e scanzonato e rende la tragedia sopportabile proprio perché vista dagli occhi di un bambino che sbagli i congiuntivi e descrive la realtà a modo suo.Ma se si pensa alle teorie sullo sguardo e sulla visione elaborate per esempio da Lacan, o da Derrida, in particolare nel saggio "Il dono della morte", in cui l'autore elabora il concetto dello sguardo divino e della responsabilità individuale, indagando il rapporto padre-figlio nelle figure di Abramo e Isacco, il romanzo di Tim Winton assume aspetti inquietanti. Ort era stato in coma da piccolo e poi si era svegliato, era rinato; invece il padre dal coma non è completamente uscito, i suoi occhi vedono ma non comprendono, il suo sguardo è vuoto; mentre l'uomo con un occhio solo non è dissimile dall'"Uomo della sabbia "di E.T.A. Hoffmann, l'uomo che viene a chiudere gli occhi ai bambini con manciate di sabbia, personificazione del freudiano concetto dell'"Unheimlich", il perturbante. Tim Winton ha scritto tre libri per bambini e in questo romanzo esplora con ironico divertimento il mondo delle angosce infantili.Nato nel 1960, a Perth, Winton ha riscosso negli ultimi anni l'interesse della critica internazionale proponendosi con i suoi romanzi e una raccolta di racconti quale voce di spicco tra i giovani scrittori australiani.Da questo libro era anche stato tratto un film nel 1995.
Totalmente differente è il libro dell'altro giovane australiano, il trentatreenne John Birmingham, che pure parla di vite deragliate. Nomadi metropolitani, affittuari saltuari di appartamenti che regolarmente finiscono distrutti, giovani che coabitano per dividere le spese, le droghe, le sbornie, le esperienze sessuali, più raramente le amicizie. Sono i giovani di Brisbane, una città provinciale, se paragonata alle vere "metropoli" australiane, Melbourne e Sydney. Giovani squattrinati, studenti, impiegati che coabitano fino al momento della reciproca esasperazione, dovuta a situazioni estreme: perquisizioni della polizia, tentativi di suicidio, aborti casalinghi, riunioni di tossici. Anche in questo caso, però, il tono non è drammatico, ma ironico. La narrazione in prima persona di racconti che messi insieme formano una sorta di romanzo a puntate è interrotta da brevi trafiletti firmati dai vari inquilini che si alternano nelle case semisepolte dalla sporcizia, con vari commenti e consigli - piuttosto scoraggianti - sulla vita in comune e con la cronaca di piccoli e grandi atti vandalici, litigi, e altri particolari. Altri trafiletti contengono pubblicità di articoli di arredamento e ricette facili di cucina. Il tono, il linguaggio gergale, la trasgressione e gli eccessi ricordano molto gli scrittori della "beat generation* americani, ma tutto nell'Australia degli anni novanta è più casuale e manca totalmente una progettualità politica. Smontare motociclette nell'ingresso, giocare a pallacanestro o a golf in una stanza adibita a palestra, bucarsi, fumare, o lavorare in banca hanno esattamente lo stesso significato e non sono necessariamente cose incompatibili. Un po' come accade al protagonista del romanzo-film "Trainspotting", anche qui l'io narrante, dopo la morte di un coinquilino tossico e spacciatore, si ritrova con una grande somma di denaro, ma...ne farà un uso diverso. Questa saga delle vite deragliate e della sregolatezza attinge a fatti reali, registrati dall'autore durante i suoi innumerevoli cambi di abitazione.
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