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Anno edizione: 2018
Anno edizione: 2018
Finalista Premio Terzani 2019
Un romanzo potente, lirico ed epico insieme, in cui il crescendo drammatico di eventi è scandito da quattro modi diversi di raccontare la follia umana, quattro tonalità in cui l'autore declina il suo racconto ed esprime, nonostante tutto, la sua fiducia verso l'umanità.
«Gli abitanti di un villaggio si trasformano in sonnambuli. È l'ultima allegoria del Dragone? Sì, dice lo scrittore in odor di Nobel. "Ma tra Trump e la Brexit a voi non va poi meglio"» - Robinson
Siamo alla fine degli anni '50, nel Nord della Cina, sulle rive del Fiume Giallo: lo Scrittore, la Musicista, l'Erudito, il Religioso e altri personaggi sono imprigionati nella Sezione 99 di un campo di rieducazione per intellettuali per ricostruire il loro zelo rivoluzionario, sotto il comando del Bambino, giovane despota ossessivo. È l'epoca del Grande Balzo in avanti e i prigionieri sono sottoposti a una disciplina inflessibile e a un lavoro massacrante per raggiungere gli obiettivi produttivi fissati dal regime e risanare le proprie credenziali. Tra i roghi di libri, la corsa all'acciaio, la coltivazione intensiva del grano e una terribile carestia, gli anni passano implacabili, come la forza irriducibile della natura, sul grande fiume e sui destini dei personaggi.
Letteratura per una psicoanalisi collettiva. Scrittori al lavoro in Cina, ormai da tempo, per aiutare generazioni di connazionali a fare i conti con un trauma chiamato Rivoluzione Culturale. E ancor prima con il Grande Balzo che in realtà, tra gli anni Cinquanta e Sessanta, rappresentò per tantissimi intellettuali un fatale salto. Nel buio dei campi di rieducazione (e lavori forzati) come l’angosciosa “Sezione 99” che Yan Lianke ha descritto nel suo sofferto I quattro libri (471 pagine, 23 euro), tradotto da Lucia Regola e pubblicato in Italia dalla casa editrice Nottetempo. Un romanzo dedicato dall’autore «a un pezzo di storia dimenticata e alle decine di migliaia di intellettuali che morirono e che sopravvissero».
Sessantunenne, vincitore del premio Kafka nel 2014, Yan Lianke alternando crudezza e lirismo scrive pagine affollate dagli spettri delle vittime di una deportazione di massa che presto divenne sterminio. Un gorgo, concepito dal “Grande Timoniere” Mao Zedong, in cui era facile perdersi. Ad esempio, per avere sbagliato a indossare le calzature: «Mentre ero ancora sulla soglia accanto al letto con i sei cadaveri – scrive il romanziere – riconobbi da lontano uno di quei corpi. Era un linguista che alcuni anni prima era arrivato in ritardo di qualche minuto a un congresso pedagogico nella sua unità di lavoro e che, interrogato dal suo superiore, aveva risposto che un improvviso dolore ai piedi l’aveva costretto a rallentare il passo. Il superiore aveva allora chinato la testa e si era accorto che il linguista si era messo la scarpa destra al piede sinistro e viceversa, quindi era scoppiato a ridere e l’aveva spedito al campo di rieducazione. Così era arrivato alla Sezione 99».
In questo modo, nella tracotanza – la “hybris” della tragedia greca – di governanti che si reputano Dio, il regime maoista puntava alla creazione di “uomini nuovi”. Un incubo presieduto da carnefici, trasformati in maschere grottesche da Yan Lianke che chiama il “Bambino” a dirigere il campo 99. Una figura inquietante e surreale, già dal suo ingresso nel romanzo: «I suoi piedi calpestavano la terra. Era tornato. Una figurina minuscola sulla piatta distesa della campagna vasta e desolata di fine autunno. Un puntolino nero che si ingrandiva a poco a poco…. Si fermò. E così fu. La terra accoglieva i suoi piedi. Era tornato. Nella luce dorata del crepuscolo. E così fu… I piedi del Bambino danzavano nel sole calante».
Recensione di Gerardo Marrone
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