Dopo il successo dell’integrale dedicata alla musica per quartetto d’archi di scuola viennese (Schoenberg, Berg & Webern: Complete Works for String Quartet – Naïve V5380), il quartetto Diotima arricchisce la sua discografia con una registrazione di una delle opere più significative della musica del ventesimo secolo, i sei quartetti di Béla Bartok, nati al di fuori delle influenze artistiche e politiche del tempo.
Questi sei quartetti ci offrono un’originale veduta d’insieme della vita privata del compositore, dalla sua prima delusione amorosa fino al dolorosissimo addio dalla madre e alla terra natia. L’evoluzione del suo linguaggio musicale è ugualmente impressionante. Partendo da un post-romanticismo imbevuto di folklore, ancora molto presente nei primi due quartetti, l’identità bartokiana è già pienamente delineata nei grandi lavori della sua maturità come il Terzo, il Quarto e il Quinto quartetto, culminando nella forma estremamente peculiare del Sesto quartetto, un immenso canto di disperazione e nostalgia.
Ogni creazione riflette il proprio tempo e Bartók non è un’eccezione a questa regola. Lui era un uomo delle forti convinzioni e dall’eccezionale rettitudine morale. Visse entrambe le due guerre mondiali e ne fu profondamente influenzato. I suoi viaggi in Europa e nel Nord Africa (dove collezionò canti popolari), il fascino suscitato in lui dalla nuova musica scritta a Parigi da Debussy Ravel e Stravinsky lo hanno indotto a fuggire dalla dominazione austro-germanica da cui si sentiva intrappolato sia musicalmente sia politicamente.
Il ruolo della musica di Bartók può considerarsi come un legame essenziale nel repertorio per quartetto d’archi, un legame tra Haydn e la musica contemporanea?
Sì, sicuramente è un collegamento essenziale nella storia di questo repertorio. Per citare Kant, egli è un genio nel senso che “dà la regola all’arte”. C’è un prima e un dopo Bartók nel mondo del quartetto. Egli rinnova, reinventa tutte le questioni del genere, i problemi delle relazioni tra le voci del quartetto che governano le forme, la ricerca della “piccola differenza”, dell’eterogeneità in un mezzo così omogeneo. Paradossalmente ben pochi studenti e compositori seguirono le sue orme.
Come si inserisce questa integrale nella carriera di Quatuor Diotima? Perché registrarla proprio ora?
E un nostro vecchio sogno… Sono lavori fondamentali per qualsiasi quartetto, soprattutto per noi poiché rappresentano un legame tra le opere passate e le composizioni contemporanee. Abbiamo eseguito questi quartetti in concerto proponendo ogni configurazione possibile, il singolo quartetto, una coppia di quartetti, il ciclo completo in un’unica serata come abbiamo fatto al Théâtre des il du di Bouffes Nord. Dopo avere registrato l’integrale dei quartetti per archi della Seconda Scuola Viennese, era fondamentale affrontare quest’altro “Everest” dei quartetti per archi.
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