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recensione di Puccini, D., L'Indice 1995, n. 4
Lo scrittore uruguayano Onetti è morto l'anno scorso, a maggio, a ottantasei anni, come qualcuno ricorderà. Ma già prima, all'atto della sua pubblicazione, nel marzo 1993, era lecito supporre che "Quando ormai nulla più importa" potesse essere la sua opera ultima, tenendo conto della tarda età dell'autore e del tipo di scrittura prescelta: un diario smarginato, narrato in prima persona, con carattere nettamente frammentario e disorganico. In ogni caso, postuma esce la sua traduzione italiana; e non si capisce come riesca, da sola, la traduzione di quest'ultimo libro a riproporre (come forse vorrebbe l'editore) il nome e l'opera di Onetti, che io considero - e non sono il solo - tra i migliori narratori del Novecento ispanoamericano. Un nome ingiustamente superato, di fronte ai lettori, da scrittori di vasta fama ma in qualche modo di minor taglia tra i quali, a mio giudizio, persino Mario Vargas Llosa, che vanta opere importanti e certo più gradevoli e accattivanti (mediocre è, peraltro, l'ultimo suo libro, non ancora tradotto in italiano).
Per strana, o per non tanto strana casualità, una delle ultime parole del libro è la parola "morte", e proprio nelle ultime righe di esso appare la frase, che figura come titolo, "Quando ormai nulla più importa", e che alla morte si riferisce. Ma non tema il lettore: a parte che ciò rientra nel tipo di umor nero che invade buona parte dell'opera di Onetti, qui troverà pagine di incisiva bellezza, di forte vitalità, di vivace erotismo, e molte altre cose niente affatto mortuarie. Nessuno può tuttavia togliere il vago sapore di "testamento" spirituale al libro che commentiamo.
E questo non solo perché esso è scritto in forma di diario da un certo Carr, nome che comunque nasconde una persona estranea al gruppo consueto e limitato dei suoi personaggi, o forse (vi è da supporre) lo stesso Onetti; ma si tratta anche di un espediente per narrare "dal di fuori" e, ormai, "da lontano" le vicende della cittadina di Santa Maria, qui denominata Santamaria Vecchia, perché nel frattempo è nata una Santamaria Nuova, trascritta in queste pagine in una sola parola. Finisce qui, dunque, la storia e la saga di Santa Maria: a più di quarant'anni dalla sua "fondazione" o invenzione nel romanzo "La vita breve" (1950).
La storia di Santa Maria - mutevole come la sua mappa - non è facile a descrivere perché Onetti l'ha sparsa disordinatamente nei suoi romanzi e racconti: ma, si badi bene, come un'ordinatissima e precisissima trama e idea costruttiva (e distruttiva), sebbene si tratti d'una città immaginaria, nata nella sua mente forse quale archetipo di una città di provincia latinoamericana. Di essa Onetti sceglie pochi personaggi. Che in quest'ultimo libro si ritrovano intatti, ma devono tutti essere riconosciuti dal lettore perché "Quando ormai nulla più importa" oltre che inquietante non rimanga persino enigmatico. Qui, ad esempio, torna a comparire Angelica In‚s (talora solo nelle sue iniziali: A.I.) nelle vesti di moglie (e quasi figlia) del Dottor Diaz Grey, ovvero di "partito" assai ambito per la sua presunta grossa eredità. Ella è la figlia semifolle di Jerem¡as Petrus (iniziali J.P.), il padrone fallito del "Cantiere" (navale), titolo e nucleo d'un altro romanzo, dove la giovane era concupita da Larsen, a sua volta ideatore del mai realizzato postribolo della città, già in un altro romanzo, "Raccattacadaveri". Si tratta di una fitta rete di storie, che andavano chiarite tutte e con molta esattezza nella postfazione, come fa il curatore solo a pagina 191 a proposito di vari romanzi e racconti, evocati nel nostro diario alla data 10 dicembre (p. 121), ma accumulando invece parole vaghe e informazioni inesatte nel resto di quello scritto scombinato. Le pagine sparse di "Quando ormai nulla più importa", tagliate secondo la scansione e un confuso diario, e quindi spesso brevi e talora fulminanti, nella loro alta scrittura, sono dei veri "poemi in prosa" (altrove ho alluso a Rimbaud: ma è vero che in questo caso la scrittura di Onetti, travolta, in apparenza, dai fumi dell'alcol, rivela punte invasate e sublimi).
Il Carr che si confessa nella narrazione in forma di diario è un visionario e uno spiantato, spesso ubriaco, che finisce, abbandonato dalla moglie, a fare il contrabbandiere, come molti abitanti o stranieri di Santa Maria, e, in cerca di occasioni di vita e di avventura e di amore, si dibatte tra varie donne: dalla cuoca dei contrabbandieri Eufrasia alla sua finta figlia Elvira, che il protagonista vede crescere e fiorire fino a che nelle ultime pagine essa scrive una lettera da un postribolo di Haiti; da una misteriosa Mirtha (con questo 'h' improbabile nel nome) alle prostitute casuali del caffeuccio chiamato Chamamé e alla stessa Angelica In‚s, moglie di Diaz Grey. Ma è inutile voler rintracciare una tran a o dare un significato al romanzo. Seguendo una sua poetica consolidata, che affida alla fiction una libertà assoluta, quasi una ragione di metafisica autonomia, Onetti nel primo distico che apre il libro (l'altro è di Borges e comincia con queste parole: "quando scrivo mi sento pienamente giustificato") traccia una curiosa ma indicativa dichiarazione. Eccola: "Verranno processati coloro che cercheranno di assegnare uno scopo al racconto presente. Saranno esiliati tutti coloro che vorranno trovare in esso un ammaestramento di carattere morale. Sarà infine fucilato chi verrà sorpreso a reperirvi una trama".
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