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Anno edizione: 2021
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Un grande poeta a cui si torna ogni volta con stupore. L'intera sua opera è un canto dai diversi registri, ma immagini e suono si imprimono in modo indelebile. Che una voce simile sia stata annientata ci dice cosa può smuovere nelle persone la poesia, la vera poesia, e come fa vivere la nostra umanità, come sa darci slancio, certezza, valore... e proprio questo la tirannia non può perdonare.
Da quali innesti fra steli, lassù nei borghi dell'Arcadia, è potuta sortire una voce come quella di Mandel'stam? Da quale distillato di idillio fra l'uomo e la parola, fra il dolore e il seme, fra il resistere e il patire? Rispondere è come tuffarsi in accenni già cariati, come imitare goffamente un tramonto, la radice di un verbo senza pari, poiché su terreni umani così enormi, così intimamente caldi della linfa più scelta offerta dalle sillabe, abitano più le anfore del genio che un'alba di spiegazioni alla mano: "Quanto amiamo simulare,/ e dimentichiamo con disinvoltura/ che siamo più vicini alla morte/ da piccoli che in età matura./ Succhia ancora l'offesa dal piattino/ il bambino assonnato, mentre io/ non ho più a chi tenere il broncio/ e su ogni via sono solo./ Ma non voglio morire come un pesce/ nel deliquio profondo delle acque/ e la libera scelta mi è cara/ dei miei crucci e sofferenze". Dopo spezzoni e tracce mai unitarie sulla sua opera poetica, dopo i volumi di irrespirabile grandezza scritti da sua moglie, ecco un dono che riscatta i decenni e fa vibrare ogni lontananza nel canto di una voce fra le più alte dell'intero secolo alle spalle, arazzo di immagini sublimi, di insofferenze profonde, di guasti e slanci tesi nel loro cappio di versi, di amore e difesa per la vita, trono meritato e affronto dei sensi, conforto e tonfo spesso in un solo gesto, sovrana deposizione di un brillio terreno al destino che Dio ha assegnato al poeta vestendo la sua coscienza con nettare di grazia: "Fascia la mano in un fazzoletto, e nella rosa canina incoronata/ nel più folto delle sue spine di celluloide,/ senza paura, fino allo schiocco, affondala./ Senza forbici sarà la nostra rosa./ Ma stà attento che d'un tratto non si sfaldi - resti di rosa - mussola - petalo di Salomone,/ fiore selvatico, inservibile per lo sharbat,/ che non dà profumo, nè olio". Non stenta e non dispera lo scrivere sulla ruvida ghiaia di un'offesa. Raccolta meravigliosa, rara, indispensabile.
Dopo cinque anni di silenzio poetico, Mandel’štam era tornato alla composizione in seguito a un soggiorno di alcuni mesi in Armenia, paese a lungo vagheggiato e idealizzato per le radici storiche e culturali che glielo rendevano caro: suggestioni bibliche ed echi di tradizioni ebraiche, un passato di invasioni e stermini di cui mostrava le cicatrici, e soprattutto una concreta estraneità all’invisa politica sovietica. La dozzina di poesie “armene” pubblicate in rivista nel 1931, furono accolte con freddezza dai critici per il loro eccesso di letterarietà. Eppure, il sincero entusiasmo che le anima non ha nulla di retoricamente studiato: “Paese di colori andati a fuoco / e di morte pianure di vasai”. Rientrato con la moglie a Leningrado, il poeta patì il clima di freddezza e sospetto del mondo letterario, che lo rinsaldò nell’antica diffidenza verso la città in cui era cresciuto (“Vivere a Pietroburgo è come dormire nella bara”). Se ne allontanò poco dopo, spostandosi a Mosca. Qui compose la maggior parte delle poesie presenti nel libro di cui ci occupiamo, oscillanti tra l’insofferenza per la capitale (“Mosca sgualdrina”, “Mosca buddista”), vissuta miseramente in alloggi promiscui, e un’adesione più sciolta al dinamismo della metropoli, raccontata nelle sue strade, nei tram, nelle fabbriche e nei musei. La stessa ambivalenza ideologica e sentimentale nutrita verso i luoghi, viene manifestata da Mandel’štam nei riguardi del tempo storico: il disprezzo per la contemporaneità (“il secolo scannalupo”) lo induce a esaltare la cultura e la mitologia classica, oppure a rifugiarsi in un onirismo atemporale. L’ultimo ciclo compositivo mandel’štamiano, tradizionalmente considerato difficile, oscuro, provocatorio nei contenuti e oscillante, stratificato, frammentario nello stile, è in realtà un vero e proprio laboratorio multiforme di rimandi letterari e culturali (allusioni, echi, citazioni), di intersecazioni di differenti livelli storici, di polemica sociale e politica.
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