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Anno edizione: 1996
Anno edizione: 1980
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Ogni tanto è piacevole qualche escursione nel mondo dei classici, anche per disporre degli elementi per confrontare l'attualità con un passato che pare distante, ma in realtà ancora contemporaneo quando si parla di sentimenti, passione ed eros. Certo la narrazione di questi temi non è così esplicita e spudorata come può esserlo oggi, ma proprio per questo consente alla nostra mente di misurarsi più lucidamente con la sensualità e la concretezza delle passioni.
Leggendo "Il puro e l'impuro" ho scoperto una grande scrittrice (e attivista, consiglio di leggere la sua biografia per avere idea del personaggio incredibile) che mi ha sorpresa per la crudezza e, al contempo, la naturalezza con le quali descrive passioni (taciute o meno) che mostrano come l'essere umano sia, sostanzialmente, destinato a scontrarsi inesorabilmente con quel se stesso che cerca a tutti i costi di celare al pubblico (e a se stesso) quando il contesto non permetta un'assenza di giudizio sul corollario di gusti sessuali cui si rifà. Grande lettura, lo consiglio a tutti!
Ho un ricordo vivido di questo libro di Colette: la sua scrittura irritante, ma quella scrittura irritante è un po' come una morale a tutto ciò che ha circondato la sua vita d'artista. Non è un romanzo, neanche un saggio, quasi una lezione di vita. Infine non posso che dare ragione a chi scrive di non aver capito molto. Io ammetto di aver trovato noiosetti e poco coinvolgenti/appassionanti i primi due capitoli e l'ultimo. Non capivo molto dove si volesse andare a parare. Poi la sequenza delle parole si fa più chiara, così come il viaggio che si sta intraprendendo, e la lettura diviene piacevole, anche se a tratti resta pur sempre difficile tenere il passo con Colette. Una lettura, per chi è appassionato di questo genere la consiglio!
Recensioni
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scheda di Bertini, M., L'Indice 1997, n. 2
Nel corso della sua lunga, intensissima vita - che la portò dagli ambienti della "bohème" 1900 ai palcoscenici del music-hall, dall'Italia della prima guerra mondiale a un Marocco fiabesco e crudele, da una Saint-Tropez ancora paradisiaca alla cupa Parigi occupata dai nazisti - Colette impresse una propria invariabile cifra personale (fatta di candido narcisismo, di spregiudicatezza per nulla ideologica, di appassionata e agile curiosità) a narrazioni molto diverse tra loro. Negli anni del suo "apprendistato" intraprese il ciclo delle "Claudines" sotto la guida del marito Willy, autore di romanzi leggeri che abbozzava e firmava, lasciandone però la stesura a giovani scrittori sconosciuti, per lo più brillanti e affamati; più tardi, emancipatasi da Willy, elaborò costantemente nei suoi libri spunti autobiografici, a volte poeticamente trasfigurati (come nei testi consacrati al ricordo della madre), a volte colti con una tecnica impressionistica affinata negli anni e aderente al reale in una sorta di singolare e inimitabile sinuosità. Troviamo oggi in libreria tre esempi complementari di queste diverse maniere. Di "Claudine a scuola" - romanzo d'esordio in cui, tra le pagine maliziose volute da Willy, si affaccia una Colette adolescente selvatica e un po' felina - Carmen Covito ci offre una traduzione memorabile, spigliatissima nei dialoghi e nel lessico opportunamente svecchiato, accompagnata da una sua ottima postfazione. "Il puro e l'impuro", che l'autrice riteneva il suo libro migliore, torna in edizione tascabile; è la Colette della maturità, lucida e saggia, che percorre i territori segnalati come diabolici dalla morale borghese per scoprirvi verità insospettate e ammirevoli amori. "Il kepì" appartiene invece alla sua ultima stagione: alla Colette che, dalla Parigi della guerra, fa rinascere, in una specie di camera oscura, le immagini brillanti della cosiddetta "belle époque", come in Gigi. In questa cornice d'epoca, per nulla convenzionale, vediamo una scrittrice di "feuilletons" che ha passato la quarantina sperimentare per la prima volta, accanto a un giovane ufficiale, l'euforia dell'"amour-passion*; ma ne spezzerà involontariamente l'incanto con un anacronistico gesto sbarazzino che la inchioderà alla realtà del suo melanconico tramonto.
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