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Anno edizione: 2010
Anno edizione: 2019
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Un ottimo whisky scozzese da bere liscio, di quelli che inizi e non vorresti smettere più.
L'oggetto principale di questo romanzo breve di DeLillo è già stato trattato anche da Thomas Pynchon in alcuni suoi racconti e coincide con la nozione fisica di "entropia". Un regista privo di particolare talento cerca linfa vitale nelle parole di un intellettuale che ha deciso di ridurre al minimo il proprio Io nascondendosi dal mondo in una zona desertica. Entrambi sembrano non fare altro che inventarsi motivi per evitare di tornare verso la vita vissuta, e nel deserto si misurano con il "punto omega" del titolo, inteso come «un salto fuori dalla nostra biologia. Dobbiamo essere umani per sempre? La coscienza è esaurita. Ora si ritorna alla materia inorganica. È questo che vogliamo: vogliamo essere pietre in un campo» (p. 49). La scomparsa improvvisa della figlia di Elster, ragazza problematica ma piena di energie, a mio parere va interpretata come il rifiuto istintuale di lasciarsi risucchiare nel vortice entropico che stuzzica i due in una moderna rivisitazione del "cupio dissolvi". Lei non vuole ridursi a pietra. Loro sì, ma il loro desiderio un po' snob mostra la propria piccolezza di fronte all'emergenza del «Wille zum Leben» di Jessie. Dove le parole decadono in schermaglie, la concretezza degli eventi ne smaschera l'inesorabile impotenza.
Terminata la lettura, il sospetto di trovarsi di fronte a un freddo esercizio intellettuale resta. Non discuto l'intelligenza letteraria di DeLillo e la sua abilità nel cogliere lo spirito dei tempi. La narrazione è volutamente pretestuosa e aperta. Contano le idee e le suggestioni. Si parla di percezione del tempo, di evoluzione (o de-evoluzione?) della specie, toccando la Storia recente (Iraq) e le sperimentazioni video dell'arte contemporanea. La materia è densa, lascia il dubbio di non aver compreso a fondo e di non aver colto tutti i riferimenti. Forse sono i miei limiti di lettore, ma questo tipo di narrazione non riesce ad appassionarmi. Meglio rileggere lo splendido lungo prologo di Underworld.
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