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Quest'ultimo libro di Nino Ferro riassume i capisaldi del suo pensiero analitico, sia teorico sia clinico. Dopo alcune brevi premesse in cui ritorna, come nei suoi scritti precedenti, al modello bioniano della mente e ai suoi simboli, l'autore dichiara: "L'assunto forte di questo mio scritto è che il paziente sia in analisi perché ha 'qualcosa di indigerito' (Bion) che deve essere trasformato in elementi
recensioni di Mancia, M. L'Indice del 1999, n. 07
Come è chiaro, il modello di Bion pervade tutta la teoria di Ferro. Per fortuna ci sono le sue vignette cliniche in cui l'autore dà il meglio di sé. Appare sensibile alle comunicazioni (o narrazioni) del paziente, è leggero e insaturo nelle interpretazioni che propone loro, mostra un delicato humour e una invidiabile umanità. Ma quando dalla clinica passa a una teorizzazione, allora ricompaiono gli elementi b che si ingorgano e non possono essere trasformati in a, o al meglio lo sono solo parzialmente diventando elementi Balfa (che perturbante neologismo!).
Ferro riprende in questo scritto la rielaborazione del pensiero dei Baranger, relativo al concetto di campo, concetto molto interessante che coinvolge paziente e analista in un comune destino e in una reciproca responsabilità nel lavoro di coppia. Tuttavia credo che questo concetto necessiti di alcune precisazioni che non sempre Ferro propone in maniera chiara.
a) È fondato sulla asimmetria, e Ferro precisa che l'asimmetria del campo nasce dal fatto che è l'analista ad avere la responsabilità della cura e a essere il garante delle trasformazioni che avvengono in seduta. Questa precisazione è apprezzabile ma non è sufficiente: non si tratta infatti solo di responsabilità o di una questione etica, ma anche e soprattutto di una questione clinica che definirei tecnica, processuale ed emozionale, che condiziona la comunicazione (testuale e metatestuale) che avviene in seduta. Ad esempio, la stessa identificazione proiettiva che in seduta deve avere un percorso dal paziente all'analista e non viceversa. L'analista deve essere garante della direzione di questo percorso grazie alla sua analisi personale, alle sue supervisioni e alle sue esperienze, cosa che il paziente non ha avuto. Se non si rispettano questi percorsi, il campo rischia di trasformarsi in selva.
b) Il campo dovrebbe essere fondato sul transfert del paziente e sul controtransfert dell'analista, e non su un incontro/scontro tra due transfert. Ma Ferro sembra non essere completamente d'accordo sull'uso che l'analista deve fare del proprio controtransfert nella teoria del campo. Pensa che "si debbano attivare identificazioni proiettive massicce per generare controtransfert", come se il controtransfert non fosse comunque una inevitabile risposta specifica al transfert del paziente.
Il problema centrale di questo libro, che per molti aspetti clinici è ricco di idee originali che fanno pensare, è la scissione dell'autore in un Dottor Ferro e un Mister Iron. Questa è la metafora che con finezza interpretativa l'autore usa con un suo paziente. Ma questa è anche la metafora usata qui per indicare la scissione tra un Dottor Ferro capace di cogliere gli aspetti più sottili ed emergenti del transfert, di entrare con delicatezza nel mondo affettivo del paziente, di offrire con abilità e umanità interpretazioni insature che permettano al paziente stesso di lavorare su di sé, di usare con saggezza analitica e con rêverie il proprio controtransfert (a dispetto delle sue teorizzazioni in proposito), di narrare con leggerezza le proprie intuizioni, e un Mister Iron che, invece, con pesantezza e insistenza propone il modello mentale di Bion, e in modo un po' meccanico e riduttivo riconduce la complessità emotiva di una seduta a un "ingorgo" di elementi b "non digeriti" o al cattivo funzionamento di un ipotetico semaforo interno che non riesce a regolare il traffico degli elementi b.
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