“A oltre un secolo dal celebre naufragio, se volessimo raccogliere e catalogare quanto è stato scritto e continua a scriversi sul Titanic, dovremmo poter disporre di una vera e propria biblioteca. Eppure, credo che nessun autore si sia ancora avventurato nel territorio arduo, rischioso e accidentato di un approccio di tipo storico-poematico alla sventura dell’inaffondabile nave dei sogni. Lo ha tentato il cinema con cortometraggi, film e documentari succedutisi lungo il secolo scorso, fino a giungere al capolavoro di James Cameron, ma l’Arca di Noè della letteratura ancora non ha tratto in salvo il poema del gigante dei mari dall’abisso in cui giace. È appunto ciò che si propone questo scritto (o manoscritto) ritrovato in una bottiglia da più di un secolo vagante nell’ Atlantico e giunta fino a noi come testimonianza di un mito che non muore perché (ed è la tesi dell’autore), l’anima mundi, la coscienza collettiva continua a percepire nella tragica vicenda del Titanic, un messaggio che è ben lungi dall’esser decifrato, un enigma che ancora non ha esaurito la sua sfida interpretativa. L’autore propone una delle possibili chiavi di lettura, che vede in quel naufragio la fine dell’idea stessa di progresso senza limiti nata con la scoperta dell’America, quindi la fine dell’età moderna che, dopo aver attraversato le tempeste del XX secolo ed essere approdati alla postmodernità, recuperati in parte i corpi delle vittime e raccolti i relitti, fa sì che la civiltà occidentale tenti di farsi ancora una ragione e, malgrado tutto, di offrire una ratio storica a quella “follia dell’Occidente” che ci illude ancora di poter danzare ai ritmi di un orchestra consumistica e spensierata, mentre la bella nave del progresso, lenta ma inesorabile, affonda in una glaciale fine della Storia”.)
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