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recensione di Messina, D., L'Indice 1996, n. 6
Quando nell'anno accademico 1988-89 Alexander Demandt, storico dell'antichità alla Freie Universität di Berlino, organizzò una serie di conferenze sui grandi processi della storia, aveva certo in mente la complessità dei problemi, le differenze tra il processo a Catilina e quello a Giovanna d'Arco, tra la persecuzione dei templari e il procedimento contro Luigi XVI, ma non avrebbe mai immaginato che a questa lunga casistica si sarebbe aggiunta un'altra tipologia di processi, quelli celebrati a Tangentopoli.
L'"unicità" del caso italiano è ben messa in evidenza nell'introduzione di Pier Paolo Portinaro. Nel libro non sono raccolte tutte le conferenze del ciclo organizzato a Berlino, ma solo alcune: Demandt ci parla di Socrate, Giaus Rosen analizza il processo a Gesù, Hans-Werner Schütt quello a Galileo, Kaius Meyer descrive le purghe staliniane, Alfred-Maurice de Zayas il caso Norimberga.
Una lettura ricca di sorprese, sia che si parli dei processi contro l'uso rivoluzionario della parola (Socrate, Gesù e Galileo), sia che il discorso verta sulle due grandi tipologie del processo politico nel Novecento: quello con cui i regimi totalitari eliminavano i nemici interni o quello in cui i tribunali internazionali giudicavano i crimini nazisti. Essendo impossibile dar conto di tutti i problemi suscitati dal volume, ci limitiamo ad alcune domande su Norimberga poste da de Zayas: il giudizio dei crimini contro la pace doveva riguardare soltanto la Germania o anche l'Unione Sovietica, che in seguito al patto Molotov-Ribbentrop aveva invaso la Polonia? Era giusto che del tribunale internazionale facessero parte i rappresentanti delle potenze vincitrici, o era più equo chiamare a giudicare i crimini nazisti rappresentanti dei paesi neutrali o addirittura la parte sana del popolo tedesco, "l'altra Germania"?
Processare il nemico. Nemico in guerra, nella contesa politica, nella lotta ideologica o religiosa. Gli scenari della storia mutano, ma ci sono alcuni archetipi che ricorrono. Per esempio, come sottolinea Portinaro, la triangolazione fra l'Aula di giustizia, i labirinti del Palazzo e i mormorii della Piazza. Scrive Portinaro: "Al centro dei nostri discorsi pubblici è tornato a collocarsi, come in ogni età di crisi e di rivolgimento, il problema della giustizia politica. Nell'immaginario collettivo si sono insediate... nozioni che prima faticavano a uscire dalle atmosfere polverose degli uffici giudiziari. Il travaso dal Palazzo alla Piazza... ha rivitalizzato anche un vecchio 'ismo': con l'espressione 'giustizialismo' si è passati a designare la diffusa esigenza di risarcimento indirizzata alla magistratura e insieme la domanda di tradurre l'epurazione giudiziaria in epurazione politica".
L'esigenza di giustizia e di trasparenza, dopo decenni di politica bloccata e ridotta a una pratica, non sempre onesta, tra pochi iniziati, ha portato all'anomalia italiana. E mentre i media proiettano le immagini dei processi alla vecchia oligarchia le toghe assurgono al rango di "inusitato soggetto politico". Con quali risultati è ancora tutto da vedere.
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