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Le privatizzazioni hanno rappresentato, in questi anni, uno dei miti che hanno accompagnato la fine della prima Repubblica ed il lento, tutt'altro che concluso, passaggio verso nuovi equilibri della politica e dell'economia. Come in tutti i miti, le cose non sono state raccontate per quello che sono: se è vero che le privatizzazioni costituiscono una grande occasione di sviluppo, è altrettanto vero che esse richiedono un notevole cambiamento nelle istituzioni. Per realizzare un programma di successo di dismissioni delle attività possedute dallo Stato sono infatti necessari alcuni ingredienti: una industria privata in grado di partecipare alle privatizzazioni, un mercato dei capitali capace di controllare gli amministratori delle imprese cedute, un sistema di pesi e contrappesi nel governo dell'impresa, un quadro regolamentare poco discrezionale e indipendente dalla politica. I nuovi confini tra Stato e mercato richiedono dunque non solo di saper vendere ma anche di saper fissare nuove regole per il settore privato e per i politici, finalmente pronti a rinunciare all'intrusione nella res oeconomica. Di qui la difficoltà del processo di privatizzazioni, ma anche l'opportunità, tuttora aperta, di tramutarla in un'occasione per una grande riforma delle istituzioni economiche del nostro paese. La riuscita di questa scommessa risiede nelle trasformazioni della politica, così come si configureranno nei prossimi anni, nella possibiltà che anche il sistema elettorale assuma connotazioni maggiormente competitive, con una piena valorizzazione della responsabilità degli eletti verso gli elettori.
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