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L'opera prima di Zizzi (La casa cantoniera, Collana/Stampa) fu accolta come uno dei debutti più attesi della nuova poesia italiana. Maurizio Cucchi nella prefazione scrisse che quel libro era “uno dei tre o quattro più notevoli di una generazione”. In questa nuova raccolta l’aspetto che risalta maggiormente è il filo concettuale che unisce i vari testi in una struttura complessa e unitaria. La primavera ermetica, come sottolinea giustamente Valli nella prefazione, “può a buon diritto considerarsi non una raccolta di liriche, ma piuttosto un unico poema sia dal punto dei vista dei contenuti, sia, soprattutto, dal punto di vista ideologico e formale”. Spesso tra un testo e l’altro intervengono scarti minimi di suoni e significati. Scegliendo a caso un esempio: “L’anacoreta che rumina versi entrò / nella claustrale stalla / soppesando il fiato verde delle vacche / fuori l’ara sepolcrale”. Tre pagine dopo si legge: “L’eremita che numera versi puntò / all’australe stella / apprendendo l’afflato nero della sera / fuori l’ora immemoriale”. Siamo di fronte a una poesia altamente visionaria e non v’è dubbio che la primavera di cui parla Zizzi sia una rappresentazione della Poesia, e l’anacoreta, l’eremita, il cantore, l’archeologo, una raffigurazione del poeta. Pur tuttavia la chiave più giusta di lettura di questo libro è da cercare nella versificazione scintillante, nel respiro lungo che sostiene la dovizia di immagini e il fraseggio legato, nell’impulso creativo che prende forma a partire dalla “natura amniotica / delle cose”.
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