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Emil Ludwig Fackenheim nacque ad Halle (Germania) nel 1916, fu ordinato rabbino a Berlino nel 1939 e fuggì in Canada nel 1940 dove insegnò nella facoltà di filosofia dell’università di Toronto. Fackenheim è un ebreo che visse il dramma dell’uomo del secolo in tutta la sua terribile profondità. Mai come nel XX secolo si è rivelata la volontà esplicita e scientifica di annientare l’uomo ebreo e perciò l’uomo tout-court. Per moltissimi credenti però, cristiani e non, Auschwitz – e la Shoà, che questo nome evoca – è stato un episodio nella storia europea, un episodio triste e umiliante per la cultura cristiana, ma che appartiene ormai al passato e che non ha posto un vero problema alla loro fede in Dio. Non è stato così per alcuni filosofi e e teologi ebrei, che hanno sviluppato una vera e propria teologia della Shoà, di cui il saggio impressionante di Fackenheim è uno dei testi più significativi. Nel primo capitolo Fackenheim tratta de “La struttura dell’esperienza (midrashica) ebraica” e conclude così contro quelle “spiegazioni” di Auschwitz che chiamano in causa il peccato di Israele o la morte di Dio: “Non abbiamo bisogno di andar oltre gli antichi rabbini per rifiutare queste due dottrine filosofiche… quando Adriano fece di Gerusalemme una città pagana essi, per così dire, fecero piangere Dio su di essa”. Tuttavia Auschwitz presenta una novità: “Gli antichi rabbini rimasero dentro alla struttura midrashica; dalla nascita del mondo moderno il pensiero teologico ebraico ha sempre affrontato la sfida del secolarismo, quella di uscir fuori dalla struttura e di chiamarla in questione dal di fuori. Per di più, a partire dall’olocausto nazista, la teologia ebraica ha affrontato la necessità di chiamare in questione la struttura midrashica anche dal di dentro. I rabbini affrontarono Tito e Adriano; furono risparmiati dal dover affrontare Hitler”. Dopo un capitolo su “La sfida della secolarità moderna”, dov
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