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Il libro di Lea Melandri, Preistorie, è qualcosa di più che l'estremo atto di una cultura della differenza che ha innervato gli ultimi trent'anni del dibattito politico-sociale italiano, ma che è ora a "quota Panda" in un universo mediatico che proprio delle distinzioni sembra non darsi alcun conto. È invece un atto d'amore per il reale quotidiano. Il mito unito alla tecnologia ha definitivamente relegato le esperienze umane in un pubblico-televisivo intimamente messo alla gogna con una conseguente voyeurizzazione di tutto ciò che avrebbe potuto iscriversi alla vita.
Meandri, invece, fedele alla sua formazione al di fuori dei confini istituzionali e delle letture ideologiche giuste, non si scherma davanti al rumore di fondo mediatico di vicende come gli stupri in Somalia, la morte di Lady Diana o le prodezze sessuali di Clinton, ma partendo da un'analisi "con uno sguardo obliquo sul nostro tempo cerca" di cogliere l'interiorità delle spinte sotterranee, a volte esplosive, "che agitano la vita dei singoli, all'insaputa degli stessi protagonisti". Lo sguardo, con il quale l'autrice indaga riportando alla luce dal postmoderno vaso di Pandora i mostri della nostra epoca, è obliquo e di sbieco. Perché anche quando l'esperienza personale va a occupare i "Primi piani" dei palinsesti informativi, il sistema la riduce su un piano di insignificanza. Melandri invece trova nuovi e inediti significati relazionali vedendo nel comportamento dei soldati in Somalia l'ennesimo episodio di sadismo sessuale; indicando un preciso parallelo tra la guerra che assomiglia all'eterno potere maschile e la lotta per la fecondazione assistita: in entrambi i casi "la fantasia è che si debba distruggere per ricostruire". La maternità, invece, come esperienza di coidentità, è un atto dove è ancora possibile vedere la complessità di un rapporto con l'altro da sé: allo stesso tempo sinonimo di appartenenza e differenziazione. Valori laici che sembravano oramai acquisiti - anche dal punto di vista legislativo - come l'autodeterminazione delle donne sono messi in serio pericolo da una politica ecclesiastica e pastorale che vede la donna solo "persona umana che si sacrifica" ma nel contempo le nega ogni capacità di progettare.
È evidente questo nella polemica suscitatasi a seguito dell'episodio di cronaca che ha visto come protagonista nel gennaio del 1998 il piccolo Gabriele nato senza cervello e quindi al di fuori di un amore che contempli qualcosa di reale. Meandri ribatte con un interrogativo: "Chi può essere certo che le donne abbiano dato al loro amore un oggetto reale?" Non sono stati spesso, uomini e figli, "creature del desiderio", personaggi "irreali e foggiati - come scrive Sibilla Aleramo - dalla mia scienza e dal mio gusto, per me sola?". Anche nel caso dell'episodio di pedofilia di Cicciano, che vide protagonista il piccolo Silvestro Delle Cave, si può rintracciare al di là di una concezione del corpo come oggetto, "un rifiuto ad accogliere consapevolezze nuove sul rapporto uomo e donna, adulto bambino". Ne hanno fatto di strada le donne - anche se in politica ondeggiano "ribellandosi all'uomo copiandolo, alternando protesta e accondiscendenza, rimprovero e seduzione" - da quella intuizione di Virginia Woolf che capì che "per secoli le donne sono state gli specchi magici e deliziosi in cui si rifletteva la figura dell'uomo, raddoppiata". Ma al di là di corti di cassazione che sollecitano consulte a cambiamenti giuridici epocali, come il possibile annullamento dell'obbligo di dare il cognome del casato maschile, resta un testo-mondo nel quale al ruolo di autrice è toccato sino ai tempi recenti un posto subordinato.
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