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Potrebbe trattarsi di ali della scrittrice Emilia Bersabea Cirillo è una raccolta di racconti caratterizzati da alcuni tratti comuni come quello della solitudine, dell’assenza di Dio, dell’esistenza imperniata sull’abitudine e della negazione del rischio. Sono sette storie di “corpi che resistono”, legate tra loro da un filo rosso ovvero dal concetto di rinascita, rappresentato metaforicamente dalle ali. Le ali come immagine della possibilità di riscatto, come alternativa, come bisogno di reagire a una vita contraddistinta da un rigido e ineluttabile fatalismo; un’esortazione alla speranza che come in Emily Dickinson assume proprio la fattezza di ali e che “dimora nell’anima e canta la melodia senza parole”.
Narrazioni incentrate su storie di donne, costruite su una pluralità di voci, ciascuna con il proprio spazio e la propria dignità: donne sole, rassegnate a una severità implacabile e all’assenza di desiderio – come nel caso di Colomba; donne ridotte a meri oggetti inanimati e desoggetivizzati – ed è la storia della soul doll Rebecca; e ancora donne “sufflè” e “fuori misura” – come per Agnese; donne che scrutano, che indagano le storie nelle storie, capaci di cogliere il lato più intimo e personale dell’esistenza altrui – Giovanna nel Come si fa a dire se; quelle tra cambiamenti e compimenti irrealizzati, deteriorate in un involucro ricoperto di polvere – come Laura; e ancora donne rivestite da una “corazza di gelo” rassegnate alla sopravvivenza in seguito al lancinante dolore dovuto alla perdita di una figlia – la storia di Norma; infine quelle che tentano nel preludio della fine di ricongiungersi con una parte di se stesse – il personaggio di Anna.
I racconti sono ambientati quasi tutti ad Avellino, ma anche a Napoli e Licosa e non mancano rinvii a Paesi lontani come la Nuova Zelanda e il Canada. Alcuni di questi luoghi però, sebbene descritti nel dettaglio, restano solo sullo sfondo, non vanno a caratterizzare, a particolarizzare la vita delle protagoniste e a confinare in un’aerea geopolitica le ansie, le solitudini, i vuoti dei personaggi che appaiono pertanto testimoni di sofferenze universali. (…)
Recensione di Mariagrazia Passamano
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