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Un filo attraversa i saggi di Elena Pulcini qui raccolti e pubblicati in volume. Il filo che simboleggia il potere femminile di legare e tenere insieme. Esso non è il potere weberiano inteso come facoltà di far eseguire agli altri i propri ordini all'interno della relazione comando-obbedienza. È invece un potere di relazione, il potere rousseauiano di controllare e guidare i rapporti affettivi nella sfera intima e privata delle relazioni familiari e domestiche. Lungo questo filo si srotola la storia di quella che Pulcini definisce la "doppia esclusione" del femminile. Le donne infatti - sostiene l'autrice - non sono state solamente escluse dalla sfera della razionalità e della sua applicazione pubblica, ma anche dall'ambito della passione. Né lógos né páthos: la contrapposizione che credevamo plausibile tra individuo razionale maschile e soggetto passionale femminile lo era infatti soltanto in parte. In realtà, l'identificazione della donna avveniva e avviene non con la passione bensì col sentimento: una forma di affettività docile, intima e privata, languida, altruistica e pacificante.
Nel mondo antico, racconta questa storia di esclusioni, la donna è considerata uomo imperfetto e ritenuta inferiore per debolezza congenita: Aristotele fonda l'esclusione della donna dalla pólis sulla naturale inferiorità del sesso femminile, fatto per essere comandato e per stare confinato nella casa insieme agli schiavi. Il pensiero moderno del Sei-Settecento ripropone l'esclusione del femminile dalla politica - nonostante la presunta eguaglianza universale - in maniera tanto più ambigua perché silenziosa. I protagonisti del patto sociale sono naturaliter uomini: il contratto sociale, è stato detto, cela il contratto sessuale, cioè il permanere della gerarchia tra i sessi. È vero che le donne, in Rousseau, non sono più esseri mancanti e inferiori: ma poco cambia, perché sono esseri per natura diversi, così diversi dal sesso maschile dominante nel pubblico da essere un'altra volta confinate nel regno del privato, investito per quanto si vuole di nuovi valori e dignità, ma pur sempre privato dell'accesso alla sfera pubblica.
In che direzione sta andando oggi il filo della storia? Siamo di fronte a un'eguaglianza reale tra i sessi, a una parità di diritto e di fatto? Anche nella gestione del potere? Guardandosi intorno, in Italia e nel mondo, non si direbbe. Inoltre, è davvero da auspicare che il potere in mani femminili (un superpotere nel caso in cui Hillary Clinton diventasse davvero nel 2008 presidente degli Stati Uniti) debba presentare caratteristiche identiche al potere gestito da mano maschile? Non sarebbe preferibile che le donne si servissero del potere relazionale conservato "nelle maglie profonde della loro struttura emotiva" per costruire nuovi modelli? Elena Pulcini ci indica quello di responsabilità verso l'altro: non solamente il "prossimo", ma anche il remoto, il lontano, lo sconosciuto, come già Hans Jonas aveva intuito pensando alla natura, alla biosfera e persino al non-ancora-esistente. La tradizione "maschile" del potere ci insegna, con Cicerone, che dovremmo preferire, nell'assegnare assistenza e aiuto, il vicino, l'amico, il concittadino. Forse una gestione "femminile" potrebbe appoggiare l'idea che abbiamo dei doveri civici anche verso il lontano, il profugo, l'escluso.
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