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Anno edizione: 2019
Anno edizione: 2020
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
"Il posto dove muoiono gli uccelli è il rifugio, il luogo archetipico per eccellenza. La tensione percorre pagine mai banali tra conflitti interpersonali, ossessioni e presenze simboliche.
Recensioni
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Spaccati fantastici, con elementi soprannaturali, in cui ci sono di mezzo rapporti interpersonali o familiari. L’ossessione, l’assenza di pietà. Le paure dei più anziani, l’innocenza (anche infranta) dei più giovani. Potrebbero essere questi, e in parte lo sono certamente, i motivi che si vedono in controluce in una raccolta di racconti edita da Gran Via. È un mondo che inquieta quello a cui dà vita l’argentino Tomas Downey, classe 1984, autore de Il posto dove muoiono gli uccelli (114 pagine, 13 euro), tradotto da Olga Alessandra Barbato, già “voce” italiana di Liliana Colanzi.
Qualcosa di oscuro e incomprensibile sembra sempre dietro l’angolo, pronto a fare irruzione nella quotidianità dei personaggi dei racconti di Downey, tesi, asciutti, scritti con una prosa pulita e precisa, figli di un genere che in Argentina ha più di un padre nobile e di caratura mondiale. Quel che succede spiazza i lettori o i protagonisti (tra loro distinti e distanti) delle storie, uno dietro l’altro si compongono i tasselli di un mosaico di poca speranza e scarsa logica, specie quando emergono legami di parentela o comunque sentimentali: donne che fanno i conti con l’amor perduto, perché i partner sono morti (è il caso della vedova del racconto Gli uomini vanno in guerra, o della giovane che ne La pelle sensibile fa i conti col fantasma del suo primo amore, morto prematuramente), o giovanissimi inquieti e sfuggenti, come nel racconto Il primo sabato del mese, il nipote che va dal barbiere accompagnato dal nonno (che all’apparenza mostra d’essere quello che non è), o come tre sorelle e un loro macabro rituale ai danni di un maialino.
Anziani, coppie, piccoli, donne. Loro e i rispettivi piccoli e grandi dolori sembrano, nelle intenzioni di Downey, impercettibili meccanismi destabilizzanti. Lo scrittore argentino dispiega pochissimi trucchi formali, è asciutto ma non scarno, parco di frasi e vocaboli, ma dispensatore di parole pregne di significati (anche non detti) e che chiamano a raccolta tutti i sensi, con suggestioni ripetute ed evocative. Senza delitti efferati e sanguinolenti ci sono quintali di suspense, senza omicidi c’è un mistero. Sembra dirci che senza qualcosa d’incomprensibile non c’è davver la vita. Lunga vita a Downey, una piacevolissima scoperta.
Recensione di Giosué Colomba
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