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L’evento traumatico della Prima guerra mondiale segna per Bloch un confine oltre il quale l’esperienza è costretta a confrontarsi con il ‘vuoto’ generato dal crollo dell’ordine precedentemente stabilito. Di fronte al dilagare della Sinnlosigkeit del moderno, la raccomandazione blochiana è quella di non perdersi in una vuota denuncia dell’Occidente e di scongiurare il pericolo di un’inautenticità artistica ed esistenziale. In quel “campo di macerie” che è l’esito del primo conflitto, Bloch individua un percorso capace di arginare il processo di estraniazione e di mercificazione, recuperando quella traccia espressiva che era traccia dell’umano. È seguendo la stella polare della grande espressione che si approda in una ‘zona oltre confine’: un terreno utopico sul quale trovano un fecondo punto d’incontro l’ornamento puro, la dimensione preistorica, l’arte gotica e le avanguardie artistiche del primo Novecento. La cifra che caratterizza queste forme è la consapevolezza che il senso della vita non deve essere cercato in una totalità compatta e definitivamente conquistata, ma deve essere prodotto, sempre di nuovo, a partire dalla frammentazione esistenziale, dagli interstizi del reale. Questo è il valore critico dell’utopia: fare spazio alla “possibilità del non-fatale”, di contro allo stato di passiva adesione all’opacità del vissuto. Questo libro nasce dall’esigenza di ripercorrere il tracciato indicato da Bloch sulla scorta di materiali inediti e in un costante confronto con alcuni dei suoi interlocutori privilegiati (Benjamin, C. Einstein, Lukács e Riegl). Dalla lettura qui proposta emerge un tipo di approccio filosofico che sceglie il “marginale (Nebenbei)” come concetto-chiave, vedendovi non un limite della rappresentazione e dell’esistenza, ma la condizione interna dell’esperienza possibile.
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