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Descrizione


«È a Port Sudan che ho saputo della morte di A. I capricci della posta locale hanno fatto sì che la notizia della morte del mio amico mi giungesse molto dopo che aveva smesso di vivere. Un funzionario cencioso, sfigurato dalla lebbra, con un grosso pistolone il cui fodero era annodato alla cintura da una corda di pelo di bufalo intrecciato, mi consegnò la lettera verso sera. Sul volto senza labbra, con le orecchie a cresta di gallo, aveva stampato un ghigno perenne. Come si era procurato la lettera? Non lo so. Forse l'aveva rubata alla Morte stessa».

L'amicizia sopravvive al silenzio, scorre muta per decenni, svaporando in ricordo; poi d'improvviso si distilla in due parole scritte prima di uccidersi: «Caro amico». E basta.È una lettera sfigurata, come il poliziotto di Port Sudan che la recapita, quella che giunge nelle mani del protagonista. Transfuga da un mondo nel quale ancora si poteva essere eroi imbecilli, teneri e audaci, è fuggito a Port Sudan. Ha scelto la navigazione, come l'amico aveva scelto la letteratura (ma chissà se è vero, forse erano stati scelti, forse l'amico non è veramente morto, lui non è veramente vivo...).«Caro amico» e basta. Per cercare di capire bisogna viaggiare a ritroso; bisogna tornare in Francia, in quella Parigi lasciata tanti anni prima, quando era finita la voglia di cambiare il mondo, quando si era smarrita la facoltà di credere e far credere. Sarà ora la domestica dal viso consumato e dolce come un vecchio sapone a raccontargli il senso di quel proiettile? O quell'infermiera che gli ricorda ombre di donne africane? Di certo non la portinaia dalle braccia come murene, ancora torva di rabbia perché il fato le ha sottratto tutto il bello, lo sparo, la polizia, il medico legale, il sangue: e lei non c'era!Insomma, perché s'è ucciso? Naturalmente per amore. E come avrebbe potuto continuarla, quella lettera?

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Dettagli

1995
16 gennaio 1995
112 p.
9788879891172

Voce della critica


scheda di Minsenti, P., L'Indice 1995, n. 4

Un navigatore approdato da tempo sulle coste del Mar Rosso, a Port Sudan, dove, come Rimbaud, aspetta che si compia lentamente il suo destino di degradazione, riceve inaspettatamente la notizia della morte di un amico, lo scrittore A., suicidatosi dopo esser stato lasciato dalla sua giovane amante. Ritornato in Francia dopo venticinque anni per tentare di ricostruire l'ultimo periodo della vita dell'amico, ritrova una Parigi invernale, estranea e irriconoscibile, e la sua indagine sui sentimenti diventa anche l'occasione per un amaro bilancio generazionale, per ricordare "un'aspirazione cieca all'eroismo", messa al servizio di "ideali così ferocemente vetusti". Della ragazza scomparsa conosceremo solo la silhouette: diafana, sempre vestita di nero e con le scarpe bianche da tennis. Forse era una piccola-borghese con confuse velleità anticonformiste, emblema del nuovo mondo posticcio ed effimero che ha sostituito gli ideali del ventennio precedente. Resta un dovere nei confronti di A.: "dare al suo amore morto ma non sepolto una sepoltura di parole", e sarà proprio il navigatore, come un Rimbaud alla rovescia, a prestare allo scrittore le parole che forse lui avrebbe voluto scrivere.

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La recensione di IBS

L'amicizia sopravvive al silenzio, scorre muta per decenni, svaporando in ricordo; poi d'improvviso si distilla in due parole scritte prima di uccidersi: «Caro amico». E basta.
è una lettera sfigurata, come il poliziotto di Port Sudan che la recapita, quella che giunge nelle mani del protagonista. Transfuga da un mondo nel quale ancora si poteva essere eroi imbecilli, teneri e audaci, è fuggito a Port Sudan. Ha scelto la navigazione, come l'amico aveva scelto la letteratura (ma chissà se è vero, forse erano stati scelti, forse l'amico non è veramente morto, lui non è veramente vivo...).
«Caro amico» e basta. Per cercare di capire bisogna viaggiare a ritroso; bisogna tornare in Francia, in quella Parigi lasciata tanti anni prima, quando era finita la voglia di cambiare il mondo, quando si era smarrita la facoltà di credere e far credere. Sarà ora la domestica dal viso consumato e dolce come un vecchio sapone a raccontargli il senso di quel proiettile? O quell'infermiera che gli ricorda ombre di donne africane? Di certo non la portinaia dalle braccia come murene, ancora torva di rabbia perché il fato le ha sottratto tutto il bello, lo sparo, la polizia, il medico legale, il sangue: e lei non c'era!Insomma, perché s'è ucciso? Naturalmente per amore. E come avrebbe potuto continuarla, quella lettera?

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Conosci l'autore

Olivier Rolin

Olivier Rolin, nato a Boulogne-Billancourt nel 1947 e cresciuto in Senegal, ha studiato all’École normale supérieure e dopo il maggio 1968 è entrato a far parte del movimento maoista Gauche prolétarienne. Ha scritto per “Libération” e “Nouvel Observateur”. Nel 1983 ha pubblicato il suo primo libro, Phénomène futur, a cui sono seguiti numerosi romanzi, saggi e racconti di viaggi, tra cui Port Sudan (1995, Prix Femina), Tigre di carta (2014, Prix France Culture) e Il meteorologo (2016, finalista Premio Bottari Lattes Grinzane). Le sue opere sono tradotte in numerose lingue.

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