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Ancora oggi al nome di Sainte-Beuve si associa un ostile "contro": sul metodo biografico e storico del più acuto critico letterario francese dell'Ottocento pesa il severo giudizio di Proust (reiterato da Malraux) che gli imputava di non separare l'uomo di società dalla sua creazione artistica, e di aver sottovalutato, o superficialmente ridimensionato (per il veleno verde dell'invidia, è stato detto) scrittori contemporanei come Stendhal, Balzac, Baudelaire
Ma il discusso critico, già poeta in epoca di lirismo romantico, romanziere di un unico romanzo e novellista minore, intendeva prendere la misura dell'autore sotto la maschera del libro, risalire alla persona dietro una produzione intellettuale, e da moralista scavare caratteri, penetrando in risvolti, recessi intimi per lo più trascurati. Si considerava indipendente e libero, una sorta di "bohémien vagabondo" e "ospite perpetuo" delle lettere, un mobile viaggiatore che attraversa le opere senza fermarsi ma con mimetica disponibilità e la lucida consapevolezza di mettere in gioco nel giudizio di valore il fattore contingente dell'emozione, del capriccio, dell'umore. Sui tanti "ritratti" scritti si imprime il suo stesso profilo: la critica è anche un modo obliquo di parlare di sé, di dipingere un autoritratto.
Insinuante, discreto, Sainte-Beuve ha sempre prediletto i talenti moderati, misurati, controllati, ai geni forti, esuberanti, sovrabbondanti (come Hugo, cui lo univa un competitivo sentimento di amore-odio). Il suo gusto per le "esistenze nascoste", le vite segrete, è tra i motivi di interesse per quelle figure di devoti monache, teologi, filosofi, scrittori e i loro compagni di strada, vissuti in isolamento e penitenza all'ombra di Port-Royal, il monastero cistercense femminile fondato nel 1204 vicino Parigi. Nel 1609 madre Angélique trasforma l'umile comunità in un'importante istituzione di austera religiosità agostiniana, resa più insigne dai "solitari" Saci, Hamon, gli autori della Logique Arnauld e Nicole, ma avversata dai potenti gesuiti, dalla Santa Sede, e da Luigi XIV. A Port-Royal, quell'"amabile e intelligente cicerone", come Nietzsche definì Sainte-Beuve, ha dedicato metà della vita e un lavoro da lui stimato "mostruoso" per dimensioni, ma anche il "più approfondito e personale". Le tremila pagine sono state pubblicate in cinque volumi dal 1840 al 1859; l'ultima edizione è del 1867, a due anni dalla morte.
Da tempo il lettore italiano non poteva accedere, se non in biblioteca, a questo capolavoro: è fuori commercio un'edizione del 1964 di Sansoni nella collana dei "Classici della storia moderna", traduzione di Serena D'Arbela e introduzione di Antoine Adam. Quanto mai opportuna, dunque, la riproposta di Port-Royal in due eleganti volumi, con una nuova traduzione di équipe, un puntuale apparato cronologico, biografico, bibliografico, utili note informative, un consistente indice dei nomi, suggestive illustrazioni, e soprattutto una monografia iniziale di Mario Richter.
Più che trentenne, nel 1837, Sainte-Beuve inizia all'Accademia di Losanna un corso rivolto a un pubblico in prevalenza calvinista sui giansenisti del Seicento, con l'ambizione, anche didattica, di seguire lo spirito eroico del giansenismo in quel che ha "di puro, raro, di unico, di eternamente degno di memoria". Nei volumi a stampa resta l'impronta dell'oralità, nel tono colloquiale e digressivo, nell'indugio aneddotico, nell'esposizione dall'andamento non lineare. Le conferenze erano sostenute da uno scrupoloso lavoro di ricerca e da una documentazione rigorosa. Ma l'erudizione si coniuga al talento del narratore che erige una lunga galleria di ritratti, nella quale personaggi sconosciuti convivono accanto agli illustri in un'imponente composizione di gruppo: sullo sfondo del quadro claustrale velato e spoglio, il grande secolo "solare" e mondano della corte e dei salotti di Luigi XIV. Ma la rivisitazione storica, e di ordine filosofico, si allarga ad aspetti culturali e a intellettuali del Sei-Settecento, e risale fino al Cinquecento.
Richter trova nella copiosa corrispondenza, e in opere precedenti, alcune motivazioni dell'impresa, suscitata anche dalle risonanze di un nome autorevole che trasmetteva ancora forza morale e l'idea di autentica virtù, specie nel contesto di rinnovamento e fervore religioso del primo Ottocento, al quale non è estraneo lo stesso critico: lo dimostrano l'ispirazione religiosa della raccolta poetica Consolations e il romanzo Volupté del 1834, il cui giovane protagonista guarisce dal vizio triste della voluttà terrena e diventa prete. Il curatore ricostruisce la disposizione interiore di Sainte-Beuve dall'iniziale simpatia per quell'alta spiritualità, dall'ammirazione per quel serio cristianesimo alla parziale rimozione della preoccupazione religiosa: "Tutto il mio obiettivo in Port-Royal è di studiare ed esporre la grandezza e la follia cristiana, senza diminuirla e senza condividerla in nulla. Ciò non era stato ancora fatto a tale livello di curiosità e imparzialità".
Anche nella prospettiva del non scontato rapporto tra cristianesimo e letteratura, accurati studi a tutto tondo o medaglioni a incrocio comparativo si concentrano in Port-Royal su Montaigne, Corneille, La Fontaine, Molière, Racine, fra gli altri; Pascal uomo, pensatore, maestro di arte retorica occupa quattrocento pagine; intento a perseguire la salvezza "con energia violenta", malinconico e nevrotico alla Byron, dibatte e lamenta monotamente: "La miseria dell'uomo, il suo perpetuo tedio, il suo terrore del riposo, la sua assurda necessità di distrazione, quella vana e tumultuosa fuga da se stesso". Sainte-Beuve, sempre attento alla qualità o alla sciatteria dello stile, ritiene legittimi paralleli tra autori del passato e contemporanei, la cui magniloquenza esibita è confrontata al negativo con quelle voci appartate e dimesse, con una scrittura senza colore, dal disegno preciso, delicato. Lo segue Richter, specialista della poesia, che evoca Baudelaire, Rimbaud, Verlaine, e non solo, in un sapiente contrappunto tra secoli. Così l'implicita opposizione tra interiorità/esteriorità rinvia al contrasto tra il lato buio del cristianesimo, proprio di Port-Royal, e quello estetizzante, attraente di Chateaubriand, o gotico, pittoresco di Hugo.
Sul piano professionale il critico si proclama "servitore della scienza", "sincero osservatore", "naturalista delle menti", uno storico distaccato (il positivismo era prossimo) che aspira a dare un fondamento scientifico al suo metodo e si avvale di fonti primarie, relazioni, carteggi, memorie, diari, testimonianze, per verificare punti di vista divergenti: a suo parere la verità è relativa e ha facce mutevoli. Sottolinea il curatore la tensione costante all'oggettività del critico, pur segnato dall'incostanza, da un'ambigua duplicità, e che confessava di avere lo "spirito più frantumato e più rotto alle metamorfosi".
L'articolata introduzione di Richter, invitando alla lettura, presenta: una messa a punto della situazione di Sainte-Beuve nel discorso critico attuale; una nitida rievocazione della parabola del prestigioso centro di Port-Royal; un'interpretazione totalizzante del monumentale saggio, anche attraverso un saldo legame con la soggettività dell'autore e il suo contesto. Sembrano congeniali al curatore la penombra del chiostro, le pulsioni trattenute, le sottili sfumature, con cui appare in sintonia: si muove con sobrietà e fine competenza tra critica, storia delle idee, storiografia, politica, teologia, letteratura, psicologia, senza trascurare la godibile dimensione narrativa, per restituirci il senso profondo dell'opera. Lo stesso Sainte-Beuve suggeriva di entrarvi come all'interno oscuro di una chiesa o di una città dove si incontrano amici dimenticati e si esplorano stradine laterali. Gide citato nel paragrafo sulla ricezione francese e italiana vi scopriva "ad ogni svolta di sentiero osservazioni e vedute di una meravigliosa sagacia". Anna Maria Scaiola
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